Qui Trieste – Scolpitelo nei cuori
È stato presentato al Caffè San Marco, locale storico da poco ristrutturato che sta offrendo con la nuova gestione importanti iniziative, il volume “Scolpitelo nei cuori: l’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010)”, di Robert S. C. Gordon, responsabile del Dipartimento di Italianistica presso l’Università di Cambridge e lì docente di Cultura Italiana Moderna, nonché uno dei massimi studiosi della figura di Primo Levi a livello internazionale.
Tristano Matta, dell’Istituto L. Saranz e Tullia Catalan, ricercatrice di Storia Contemporanea all’Università di Trieste si sono alternati nell’analisi di come in Italia venga vissuto e affrontata la difficile rielaborazione della Memoria rispetto alla Shoah, partendo proprio dalle celebrazioni che ogni 27 gennaio, dal 2001 a oggi, si susseguono nel nostro paese e di come, in fondo, non si sia ancora affrontata la questione della responsabilità italiana in quei tragici eventi.
Il saggio oggetto della conferenza, offrendo l’occasione di osservarci da un punto di vista esterno, permette di cogliere meglio la difficoltà di uscire ancor oggi dallo stereotipo dei “bravi italiani”, sempre pronti ad aiutare e sostenere, mai complici fino in fondo degli occupanti nazisti, unici veri autori di quanto avvenuto. Discorso che si lega in modo indissolubile a quella che Primo Levi, ne “I sommersi e i salvati” chiamò la “zona grigia della “protekcja” e della collaborazione. [… ]Era indispensabile attingere dai paesi occupati non solo mano d’opera, ma anche forze d’ordine, delegati ed amministratori del potere tedesco ormai impegnato altrove fino all’esaurimento. […] I collaboratori che provengono dal campo avversario, gli ex nemici, sono infidi per essenza: hanno tradito una volta e possono tradire ancora. Non basta relegarli in compiti marginali; il modo migliore di legarli è caricarli di colpe, insanguinarli, comprometterli quanto più è possibile: così avranno contratto coi mandanti il vincolo della correità, e non potranno più tornare indietro”.
Tutto questo in Italia è stato troppo poco analizzato e quindi scarsamente affrontato, impedendo così una reale elaborazione collettiva.
Esemplare di questa voragine di silenzio che pesa su tutti noi è la vicenda legata alla costruzione a Roma, città non a caso oggetto di un capitolo a parte nel libro di Gordon, del Museo della Shoah, pensato nel 2005 per essere un luogo di Memoria, ma anche di analisi delle colpe italiane e della specificità dell’Olocausto rispetto ad altri genocidi: ancora oggi se ne attende l’inaugurazione. Contemporaneamente, la centralità di un memoriale nazionale, tipico di altri paesi, dalla Francia agli Stati Uniti solo per fare qualche esempio, viene messa in discussione dall’istituzione a Ferrara di un Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, al Centro di Studio e Memoria intorno a Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, e a una Mostra digitale permanente che copra gli anni dal 1938 al 1945, da concepirsi, tutti assieme, come spazio unico. Specificità tipicamente italiana, coerente e adeguata sotto certi punti di vista, ma a potente rischio di strumentalizzazione. Su questo è necessario vigilare, perché ciò che può essere un elemento nuovo e originale e d’esempio anche per le altre realtà nazionali non sia invece occasione per eludere ancora una volta la presa di coscienza di un paese che fu indubbiamente complice attivo di queste atrocità.
Paola Pini
(27 gennaio 2014)