apparenze…

Nel Talmud (Sotà, 49 b) si racconta che quando i re degli Asmonei si facevano guerra tra di loro, Ircano era fuori e Aristobulo era dentro. Ogni giorno quelli che erano dentro Gerusalemme calavano dei denari in un cesto e tiravano su animali per i sacrifici quotidiani da offrire nel Tempio. Tra loro si trovava un vecchio esperto di saggezza greca e fece capire ai nemici di Israele che fintanto che gli ebrei sarebbero riusciti a procurarsi gli animali per il culto permanente del Tempio non sarebbero caduti nelle loro mani. All’indomani, quando furono calati i denari il cesto risalì con un maiale. Quando il cesto raggiunse l’altezza della metà del muro, il maiale conficcò le sue unghie sulla parete e la terra di Israele tremò per quattrocento leghe intorno. Allora i Maestri dissero: “sia maledetto chi alleva maiali e sia maledetto colui che insegna a suo figlio la saggezza greca”.
Il Talmud, nel suo linguaggio in codice, sta comunque mettendo in relazione la saggezza greca con i maiali. La saggezza greca, rappresenta, nell’ottica talmudica, quell’arma di dominio e di astuzia con cui si consolida la retorica del “politichese”, quella filosofia benpensante che, laddove non accompagnata da azioni concrete, si trasforma ineluttabilmente in ideologia del potere. Anche il maiale, nella tradizione rabbinica, è il paradigma dell’apparenza. Quando si accovaccia e ci mostra i suoi zoccoli biforcuti, la sua parte esteriore, ci dice: “sono puro e adatto”. Un modo subdolo e ambiguo di nascondere la sua interiorità non ruminante e quindi di porco. Per questo diviene nell’universo ebraico la creatura maggiormente insidiosa proprio perché di kasherut ha solo quell’apparenza che trae in inganno. La cortesia del male, l’ipocrisia. Ogni volta che siamo stati costretti a confrontarci con insidie esterne i nostri Saggi ci hanno spinto a cercare dentro noi stessi. Quando qualcuno ci aggredisce è importante analizzare il valore di cui questo nemico è portatore. Il valore positivo o negativo, l’attributo, come se fosse questo a indicarci l’alterazione che c’è dentro di noi.

Roberto Della Rocca, rabbino

(28 gennaio 2014)