Il suono della Memoria
Sala gremita, emozioni incontenibili. Uno struggente messaggio di Memoria viva lanciato attraverso la musica, le melodie, le corde di strumenti scampati miracolosamente alla Shoah e riportati a nuova vita dal liutaio israeliano Amnon Weinstein. Un successo accolto da lunghi minuti di applausi, quello del concerto “I violini della speranza” (direttore della brillante orchestra giovanile di Santa Cecilia il Maestro israeliano Yoel Levi) proposto ieri a Roma all’Auditorium del Parco della Musica, che ha confermato – nelle parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano – il ruolo fondamentale dell’arte nella trasmissione del ricordo.
È stato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna a prendere in consegna i messaggio del Capo dello Stato e a portarlo sul palco, prima di lasciare spazio alla musica e al racconto caldo, commosso e appassionato dell’attrice Manuela Kustermann, che ha raccontato la storia e l’itinerario seguito dai “violini della speranza”, suonati ieri da musicisti di diverse culture e religioni per lanciare un messaggio di pace e fratellanza universale che non può prescindere da una piena consapevolezza dei fatti storici e del punto di abiezione che fu raggiunto con lo sterminio scientifico del popolo ebraico.
Uno dei momenti più simbolici e potenti del concerto, ideato e organizzato dalla giornalista Viviana Kasam (presidente di Brain Circle Italia) con Marilena Citelli Francese e promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche, dall’Università Ebraica di Gerusalemme e dal Edmond e Lily Safra Center for Brain Sciences.
Un diluvio di applausi per tutti: dal grandissimo violinista israeliano Shlomo Mintz (già ospite in mattinata al Quirinale) a Cihat Askin, dalla giovanissima e già affermata Francesca Dego a Ermir Abeshi e Alexander Hulshoff. Il repertorio, molto impegnativo anche per lo speciale carattere della serata e per i particolarissimi strumenti utilizzati da alcuni solisti, ha toccato alcune delle vette più alte. C’è Bloch, Vivaldi, Beethoven. Il bagliore di un Paganini fuori programma donato per congedarsi da Shlomo Mintz. C’è, soprattutto, un rapporto con la vita che fu spezzato inesorabilmente dalla macchina del genocidio e che ha, nelle diverse traiettorie seguite dagli strumenti, un comune riferimento all’amore per l’arte, il pentagramma, la speranza. Ad aprire il concerto un adagio di Samuel Barber, eseguito per la prima volta nel ’38 e considerato uno dei brani più struggenti mai scritti da un compositore contemporaneo. A conclusione del percorso, un itinerario nel quale è stata portata in musica tra le altre l’eterna invocazione ebraica Avinu Malkenu, l’esecuzione della travolgente Quinta sinfonia di Beethoven (primo, terzo e quarto movimento) per ribadire come dall’orrore debba sempre emergere una luce.
Si tratta infatti di un tema fortemente affermativo e rappresenta, ha spiegato Manuela Kustermann, “la vittoria dell’ottimismo e della certezza morale sul destino”. Una sfida raccolta con commovente dedizione da Weinstein. Perchè, come aveva ricordato il Presidente dell’Unione al Quirinale, per il liutaio il restauro non è un punto d’arrivo, ma un veicolo di valori a beneficio dell’intera collettività. “I suoi strumenti non devono diventare oggetto di un voyeurismo ossessionato – si legge infatti sull’ultimo numero del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche nel dossier ‘Memoria viva’ – ma devono soprattutto suonare. La loro musica è una vittoria sul silenzio, sull’oblio, è la voce di coloro che non possono più suonarli”. Una voce che il pubblico dell’Auditorium ha dimostrato, non solo ascoltando, ma partecipando emotivamente all’esecuzione di ogni singolo brano, di voler mantenere alta e viva a presidio dei più alti valori umani.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(28 gennaio 2014)
(Nelle immagini, dall’alto in basso, i saluti del presidente UCEI Gattegna, Amnon Weinstein festeggiato sul palco, il direttore d’orchestra Yoel Levi, il violinista Shlomo Mintz)