…Ucraina
A leggere le cronache di quel che accade in Ucraina sembra che la storia del “secolo breve” debba essere in buona parte riscritta. Innanzitutto per la durata: a me pare che il Novecento stia lasciando strascichi importanti che ci illudevamo di aver concluso con il conflitto nei Balcani ma che riemergono invece potentemente nell’ormai avanzato XXI secolo. Nazionalismi e localismi si affermano come potenti motori della storia, forme nuove (ma già viste) di imperialismo egemonico mostrano i muscoli sia militarmente, sia economicamente, nel tentativo di imporre nuovi equilibri di forze e sfere di influenza che fanno parte a pieno titolo delle dinamiche diplomatiche e politiche otto/novecentesche. Tutto questo accade nel bel mezzo della più profonda crisi economica e finanziaria registrata dall’Europa nel secondo dopoguerra. Un’Europa che – al contrario di quanto previsto e auspicato dai suoi padri fondatori – stenta assai a darsi un assetto politico unitario e a esprimersi con voce chiara e univoca imponendo tutto il suo peso per evitare che la situazione degeneri. Lo si è visto chiaramente: mentre la baronessa Catherine Ashton, nella sua irrilevante veste di alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea balbettava parole di equidistanza che richiamavano le parti a un impossibile dialogo, sono stati due governi europei (quello polacco e quello tedesco) – in maniera del tutto autonoma e ispirata a interessi nazionali – a imporre di fatto la fine degli scontri di piazza Maidan e l’uscita di scena del satrapo Yanukovich. In tutto questo – l’ho scritto e lo ripeto perché mi sembra essenziale per capire i rischi cui stiamo andando incontro – il tema dell’antisemitismo assume un ruolo importante sul quale va avviata una riflessione attenta. Si tratta di un cavallo che in tanti vogliono cavalcare da una parte e dall’altra, perché tutti ne conoscono le dirompenti potenzialità politiche. Così Julia Tymoshenko è accusata di avere origini ebraiche (quindi non “puramente” ucraine, un bell’esempio di ritorno al razzismo politico) e di essere un agente del sionismo e della finanza internazionale; oppure i suoi supporter sono accusati a loro volta di essere alfieri di un aperto antisemitismo. E qua e là, tanto per non farci mancare nulla, squadre di ragazzotti apparentemente senza etichette colpiscono con bottiglie incendiarie una sinagoga o pestano ebrei ortodossi per strada alimentando una tensione antiebraica che è decisamente funzionale al disordine politico. Per troppo tempo abbiamo assistito (anche da parte ebraica) all’appiattimento su Israele e sul conflitto mediorientale di ogni ragionamento sulle nuove forme di antisemitismo. E’ giunto il momento di riconsiderare anche l’antisemitismo come una delle grandi “permanenze” delle dinamiche della storia novecentesca che si sono infiltrate nel nostro tempo neppure tanto silenziosamente: ma facevamo finta di non accorgercene.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(28 febbbraio 2014)