A Villa Emma progettando il futuro
L’esperienza di solidarietà di Villa Emma è stata il punto di partenza di un ragionamento comune sulla capacità di fare rete e sulle strategie di salvezza. Per tre giorni i numerosi studiosi convenuti a Nonantola – il luogo dove una comunità di cittadini è stata capace tra il ’42 e il ’44 di dare rifugio e salvare 73 giovani ebrei in fuga dall’Europa orientale – sono stati impegnati nel convegno internazionale “Un luogo a questa storia”, organizzato dalla Fondazione Villa Emma. L’appoggio delle istituzioni locali e l’affetto dei molti nonantolani che hanno seguito i lavori si è così sommato a quello portato da Yehudit Inbar, che si è soffermata sulla rappresentazione dell’infanzia nei musei della Shoah, e in particolare nell’area museale di Yad Vashem, di cui è responsabile. Le scelte coraggiose e gli eroi che hanno portato aiuto e soccorso, sono stati il tema della relazione di Beate Kosmala che ha portato alla Fondazione Villa Emma l’appoggio anche del Memoriale Stille Helden Berlino.
In tre giorni, tutti rivolti al futuro, la visione progettuale si è intrecciata con una grande volontà di fare rete e lavorare insieme, sia nella direzione della costruzione di un memoriale, indicata poi con più precisione nel documento conclusivo, che nel germogliare continuo di idee e progetti. I relatori hanno condiviso idee e ragionamenti, anche al di fuori dei momenti ufficiali, e si sono delineati chiaramente un comune impegno per future ricerche, e l’intenzione di approfondire nello specifico alcuni temi. Dopo l’intervento di Liliana Picciotto, che giovedì ha mostrato i risultati di una grande ricerca sulle strategie di salvezza degli ebrei italiani, dal Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano anche Michele Sarfatti ha portato un apporto importante, interrogandosi e ragionando sulle possibili modalità concrete di lavoro in direzione del memoriale. Innanzitutto la ricerca sui fatti deve continuare, e così – anche con il sostegno di Micaela Procaccia, che oltre ad essere parte del comitato scientifico ha presentato gli interventi e che da tempo è il riferimento della Fondazione per il lavoro sugli archivi documentali – si è parlato di un progetto di ricerca che vada a ricostruire la storia di Salomon Papo, unico dei ragazzi di Villa Emma che è stato deportato, e non è sopravvissuto ai campi di sterminio. La storica Maria Bacchi, una delle anime trascinanti delle attività di Villa Emma, ha raccontato la vicenda di questo ragazzo che era riuscito ad arrivare in Italia, da Sarajevo, la cui vicenda ha incrociato l’esperienza positiva di Nonantola e quella terribile del campo di Fossoli, a soli 30 chilometri di distanza. Secondo la storica Anna Bravo, dell’università di Torino, alle manifestazioni del 2 giugno non andrebbero fatti sfilare i carri armati, ma i gonfaloni di comuni come Nonantola, a mostrare la forza che possono avere strategie di resistenza e di disobbedienza civile, per sottolineare fossero possibili strategie di pace. Strategie possibili soprattutto – secondo Stefano Levi della Torre – ove era presente un precedente tessuto solidale, e nel caso dei ragazzi di Villa Emma è sicuramente stato importante che si trattasse di un gruppo compatto, con una impostazione educativa comune, capace di attirare solidarietà e di arrivare a una grande immediatezza di rapporti con i coetanei. Importante anche l’atteggiamento: non porsi come vittime ma come soggetti, come persone, è stato la chiave che ha avvicinato i ragazzi in fuga alla comunità locale.
Le informazioni raccolte tramite i diari, fondamentali nella ricostruzione dei fatti e al centro dell’intervento congiunto di Alberto Cavaglion e Klaus Voigt, sono da incrociare con una ricerca sull’esperienza educativa e pedagogica, che si potrebbe far partire da uno studio da quella parte della biblioteca di Villa Emma che è stata salvata.
Il racconto delle esperienze che li hanno portati alla salvezza è stato strettamente intrecciato, sia da Pupa Garribba che da Bruno Segre, con l’appello pressante a lavorare con i giovani, a testimoniare, e a progettare nuove forme di accoglienza. Essere ancorati al presente, non ignorare la contemporaneità significa anche farsi portatori di idee di solidarietà nei confronti di chi oggi si trova in situazioni di pericolo.
È necessario prendere posizione, coltivare uno sguardo reciproco che possa nutrire una relazione profonda, e appropriarsi della storia bella di Villa Emma, che indica ora la strada verso vie di collaborazione, e di aiuto reciproco
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(9 marzo 2014)