Una domanda inquietante
Il libro “La legalità del male” di Saverio Gentile espone una tale mole di fatti sconcertanti relativi all’applicazione delle leggi antiebraiche in Italia (giuristi e intellettuali che si profondevano in parole di consenso, docenti e professionisti ansiosi solo di prendere il posto dei colleghi licenziati, circolari che peggioravano la vita degli ebrei in ogni ambito) che Guido Neppi Modona in coda alla presentazione di lunedì scorso ha sentito la necessità di una nota più positiva e, “per non uscire da questo incontro troppo pessimisti”, ha invitato i presenti a ricordare i Giusti che hanno aiutato gli ebrei durante la persecuzione, senza i quali molti di noi ebrei italiani oggi non sarebbero qui, o non sarebbero mai nati. Una domanda dal pubblico ha però steso un velo di inquietudine anche su questa doverosa precisazione: da una parte – è stato osservato – intellettuali, professionisti, docenti universitari sono stati così poco solidali con gli ebrei e così pronti a farsi complici dell’ingiustizia; dall’altra parte i Giusti che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei erano spesso persone semplici, prive di istruzione: collaboratrici domestiche, bambinaie, operai, contadini. Dunque la cultura non serve a niente? Sicuramente abbiamo imparato che non sempre è un antidoto efficace contro il male.
Anna Segre, insegnante
(14 marzo 2014)