Periscopio – Monumenti

lucreziNon c’è da meravigliarsi, naturalmente, del totale silenzio con cui è stata accolta dalla stampa internazionale la notizia dell’ufficiale inaugurazione, lo scorso 10 marzo, alla periferia di Jabalya, ai margini di una trafficata strada che conduce a Gaza City, di un grosso monumento dedicato ai razzi M-75, lanciati nel 2012 verso Israele. Il monumento, riproduce, ovviamente, un missile, di grandi dimensioni, e in stile assolutamente realistico: non si può dire che l’artista che lo ha realizzato abbia brillato in fantasia, ma evidentemente non ce n’era bisogno. Perché mai, se si vuole dedicare un monumento a un missile, occorrerebbe ricorrere all’arte astratta, concettuale o post-moderna, quanto c’è già, bella e pronta, la nota sagoma del missile vero? Non è già il missile, di per sé, sufficientemente evocativo, eloquente, coinvolgente? Se l’arte è fatta di simboli, rinvii, allusioni, tutte queste cose il missile le ha già di suo, non c’è proprio bisogno di ricorrere a metafore criptiche e oblique. Anche un bambino capisce immediatamente a cosa un missile allude, rinvia, cosa simboleggia. La statua di Gaza, perciò, è assolutamente compiuta, perfetta, non ha bisogno di inutili orpelli o camuffamenti. E, se appare comprensibile che venga ignorata dai commentatori politici, non sembra giusto che venga ignorata anche dalla critica d’arte, perché, nella sua essenzialità ed eloquenza, potrebbe piacere a molti critici. L’arte e la morte, si sa, sono sempre andate a braccetto, e non è certo la prima volta che un’opera d’arte celebra la guerra. “La guerra è bella”, recitava il futurista Marinetti, e il grande Damien Hirst, l’artista vivente più pagato al mondo, commentò l’attentato dell’11 settembre (prima di correggersi, dietro prudente suggerimento del suo imbarazzato agente) dicendo, ammirato, che si era trattato di uno spettacolo di alta suggestione visiva.
Confidiamo e auspichiamo, pertanto, che il missile di Gaza ottenga, sui libri di storia dell’arte, un suo, pur piccolo, spazio. Obiettivamente, se lo merita. Tanto più che gli artisti che lo hanno ideato e realizzato hanno anche pensato di rendere la rappresentazione ancora più realistica, accompagnando l’inaugurazione col lancio di numerosi missili veri. Un’operazione assolutamente necessaria, dal punto di vista non militare, ma artistico, perché è proprio il lancio dei missili veri a chiarire il significato profondo del missile-monumento, che altrimenti rischierebbe di confondersi con i tanti banali fusti di cannone messi in bella mostra nelle pubbliche piazze, a commemorazione di antiche battaglie, che nessuno ricorda più. Hamas non diventerà mai qualcosa del genere, non farà mai vuota arte celebrativa. La sua non è mera raffigurazione, rappresentazione, ma qualcosa di più: è arte vivente, arte-realtà. Il giorno in cui dovesse esserci la pace con i vicini, l’avveniristico monumento, privato del suo indispensabile corredo di razzi veri, diventerebbe immediatamente vecchio, melenso, retorico. Nel guardarlo, la gente non proverebbe nessun brivido, e presto nessuno lo guarderebbe più. Per amore dell’arte, non dovrà mai succedere.

Francesco Lucrezi, storico

(19 marzo 2014)