In cornice – Distruggere la tragedia
Gustav Metzger (1926) non è l’artista più famoso a trattare di Shoah – il museo di Tel Aviv gli sta ora dedicando la sua prima, piccola personale – ma rivela molto dei sentimenti che provano i sopravvissuti. Fuggito a Londra con uno dei treni carichi di bambini tedeschi spediti oltre Manica, Metzger continua a riflettere attorno al pensiero di Thomas Adorno secondo il quale era impossibile creare arte dopo la Shoah. È un’idea che risale a quasi 70 anni fa e che è stata smentita dai fatti, ma per Metzger 70 anni sono come un battito di ciglia nella storia. Vive la tragedia come fossimo nel 1945. Così ha pubblicato un manifesto dell’arte auto-distruttiva che poi si concretizza in opere create in due fasi: l’opera stessa, che può essere un quadro o una fotografia, meglio se riproduzioni di eventi tragici del passato (non solo Shoah, ma anche Vietnam o Cambogia o altro); poi, la copertura dell’opera con mura di giornali o di mattoni che sono quelli che vede il pubblico. Metzger indica concretamente come i cumuli di libri, di storia raccontata, di menzogne politiche e quant’altro finiscano per coprire – e quindi distruggere – la realtà della tragedia che andrebbe invece mantenuta pura e soprattutto percepita sempre nella sua crudezza. Anche 70 anni dopo. Metzger ci riesce certo, con una vita da spiantato, da orfano di un mondo distrutto. Dovremmo riuscirci tutti, almeno un giorno all’anno.
Daniele Liberanome, critico d’arte
(28 aprile 2014)