Il conflitto e le domande difficili
A dieci anni, gli occhi sono aperti sul mondo e una curiosità insaziabile è spesso affiancata dall’incapacità di gestire la sofferenza, soprattutto quando è narrata per immagini. Sofferenza però che nelle ultime settimane è entrata prepotentemente nelle vite di tutti in maniera ineludibile, a causa soprattutto della sovraesposizione mediatica del conflitto mediorientale. Il primo riflesso, per un bambino che vede immagini di suoi coetanei dilaniati dalle bombe, è di notare che “È come me”. Immediata allora arriva l’inevitabile “Perché?”, già difficile da gestire quando è il millesimo della giornata, ma che obbliga a fermarsi a riflettere quando la risposta non è ovvia neppure per gli adulti. Tutte le guerre sono difficili da spiegare, e arriva sempre un “perché?” di troppo, quello a cui non c’è risposta, ma quest’ultimo conflitto, che ha contrapposto per l’ennesima volta Israele a Hamas, è difficile da gestire anche seguendo il metodo consolidato: suddividere una domanda troppo grande in pezzi più piccoli, a cui è possibile dare risposte chiare. E, si spera, accettabili oltre che comprensibili. Risposte semplici, univoche, che non siano condizionate dalle opinioni personali, dai pregiudizi, o anche solo dal punto di vista di chi deve offrire una chiave di lettura accessibile, che porti a un ragionamento autonomo. Quando storia, politica, identità, memoria e storie familiari si mescolano così strettamente come nel conflitto mediorientale, rispondere anche alle domande più elementari diventa un esercizio estremamente interessante. E difficile. “Cos’è la Striscia di Gaza?”. Un luogo, certo, ma non basta. “Perché combattono? Chi è che combatte?” Ogni spiegazione scatena un’altra domanda, più difficile della precedente: “Cosa sono gli effetti collaterali?”. Le spiegazioni semplici non bastano. Non ci sono più spiegazioni semplici. “Perché ci sono dappertutto persone arrabbiate con gli ebrei? Gli ebrei non si comportano come i nazisti, vero? Perché lo dicono, allora?”. Non basta spiegare che ai due lati del conflitto ci sono persone come noi, che vogliono la pace, e una vita tranquilla, serena, normale. Israele non vuole eliminare tutti i Palestinesi, che non sono tutti terroristi. Non è sufficiente cercare di spiegare che Hamas non li rappresenta davvero, immediatamente arriva, implacabile “E allora perché hanno votato per Hamas? Perché è al governo?”. Già, ecco… E come spiegare che sono morte tante persone che non avevano fatto nulla, che quella guerra non la volevano? I bambini, soprattutto. Come far capire che neppure i soldati israeliani volevano, che erano giovanissimi? Convincere un bambino che è stato fatto tutto il possibile per evitare la guerra è impossibile. Si può solo provare a creare un percorso, una domanda dopo l’altra, una risposta dopo l’altra. Tentare di fare chiarezza. E la confusione iniziale, forse, si riduce. Forse. Le domande sono come una malattia, restano in testa ben dopo che la conversazione è finita. E agli adulti resta l’impossibilità di trovare le risposte.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(13 agosto 2014)