Qui Roma – La Memoria trasloca all’Eur
Seimila e quattrocento metri quadrati nel quartiere Eur. È lo spazio in cui – a quanto si è appreso nelle ultime ore – dovrebbe essere destinato il Museo della Shoah di Roma dopo l’accantonamento del progetto di fare di Villa Torlonia, che fu residenza di Benito Mussolini dal 22 luglio del 1925 al 25 luglio del 1943, il più importante luogo di riflessione sulla memoria dello sterminio in Italia. La decisione ha suscitato reazioni diverse.
Fortemente in contrasto Luca Zevi, architetto e responsabile del progetto di Villa Torlonia (nell’immagine) oltre che consigliere UCEI, che parla di operazione inaccettabile “da un punto di vista amministrativo, finanziario e culturale”. Dice Zevi: “Siamo arrivati al termine di un percorso particolarmente difficile, come d’altronde per tutti i musei di Roma. Resta soltanto da aggiudicare la gara di appalto tra le 24 proposte che ci sono arrivate e, dopo la posa della prima pietra, dare inizio ai lavori. Il Comune ha speso 15 milioni per acquistare l’area, acceso un mutuo di 21 milioni dalla cassa depositi e prestiti e ottenuto una deroga al patto di stabilità. Cosa succederà di questi soldi? Quali conseguenze avranno le azioni di cui si legge? È un fatto gravissimo”. A proposito dell’annunciata apertura del museo per il prossimo 27 gennaio, 70 esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Zevi usa parole molto forti: “Si tratta di una sceneggiata, un imbroglio. C’è qualcuno che pensa davvero che si possa adattare un edificio a museo in così pochi mesi? È un fatto grave e sono sicuro che partirà presto una ferma protesta dalla società civile. Oltretutto, l’operazione si presterebbe a uno spiacevole inconveniente. L’Eur è infatti un quartiere le cui architetture furono pensate come celebrazione del fascismo. Farne la sede del Museo della Shoah mi sembrerebbe una cosa terribile”. Nessun commento arriva invece da Leone Paserman e Marcello Pezzetti, rispettivamente presidente e direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah. Troppo presto, ci hanno spiegato, per rilasciare dichiarazioni.
A parlare è così il testimone della Shoah Sami Modiano. La sua è una reazione di tutt’altro taglio rispetto a quella di Zevi: “Accolgo gli ultimi sviluppi con la gioia del cuore. È in assoluto – sostiene – la cosa più bella che si potesse fare e sono felice che l’inaugurazione possa avvenire in tempi rapidi. A Villa Torlonia o all’Eur cambia poco, l’importante è che il museo veda la luce al più presto. L’Eur tra l’altro è un quartiere dall’eccellente fruibilità, ben collegato, prestigioso”. Sami afferma che la sua è anche la posizione di altri sopravvissuti, come il romano Piero Terracina, autore nelle scorse settimane di una lettera aperta inviata al sindaco Ignazio Marino e al governatore Nicola Zingaretti. “Tutto il mondo ci guarda – scriveva il testimone – e l’occasione del 70esimo anniversario della liberazione di Auschwitz non può essere sprecata e andare perduta. Dobbiamo mandare un segnale, in questa occasione, a tutta l’Europa e a tutto il mondo: questo segnale è l’inaugurazione del Museo della Shoah di Roma”. In considerazione di quanto si annuncia oggi, sottolinea Sami, “voglio che si sappia che avverto un senso di gratitudine profondo verso la comunità ebraica e tutte le istituzioni che si sono spese per arrivare a questo risultato”. Tra gli altri Modiano cita come particolarmente degni di nota il leader comunitario Riccardo Pacifici e l’assessore alla Memoria Elvira Di Cave.
La notizia fa discutere anche la comunità degli storici. Anna Foa, che alle memorie degli ebrei romani ha dedicato il suo recente ed emozionante scritto ‘Portico d’Ottavia 13’ (ed. Laterza), dice di avere una posizione intermedia: “L’idea di Villa Torlonia l’ho sempre trovata straordinariamente affascinante. Un progetto di livello europeo – commenta – nato però in un diverso momento economico-finanziario e quindi esente dalle problematiche che si sono successivamente presentate. Per questo, anche luce dei molti anni che sono andati perduti, comprendo la scelta che è stata fatta. Auspicherei tuttavia un trasferimento parziale di materiale, ad esempio del ricco fondo documentale custodito dalla Fondazione, piuttosto che la scelta di un luogo definitivo in cui installarsi”. La professoressa spiega inoltre di essere rimasta scossa dalla lettera di Terracina e di questa parla come di un grido di dolore “da prendere sul serio”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(31 agosto 2014)