Padova – In marcia per la Memoria
La memoria della deportazione degli ebrei di Padova, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio con la Comunità ebraica, è divenuta un appuntamento irrinunciabile per la città. La marcia silenziosa, che ha percorso le vie del centro, dove si trovavano le case di molte famiglie, ricorda il 3 dicembre 1943, giorno che segnò l’avvio del prelevamento di decine di ebrei della città e l’apertura del campo di concentramento di Vo’ Vecchio. Settanta anni fa, il 17 luglio 1944, i 47 internati padovani insieme ad oltre 700 ebrei rastrellati nel veneto, del campo furono deportati ad Auschwitz. Solo tre donne tornarono alle loro case: Bruna Namias, Ester Hammer Sabbadini e la figlia, ancora vivente, Sylva Sabbadini.
Gli interventi, che hanno preceduto e seguito la marcia, si sono soffermati quest’anno in modo concorde sulle preoccupazioni per la violenza diffusa e crescente nel mondo e sulla responsabilità, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, di preservare il bene prezioso della pace e a costruire un futuro senza odio e senza razzismo.
Commemorando la figura di Enzo Camerino, uno degli ultimi testimoni della grande razzia degli ebrei di Roma, scomparso poche ore prima, si è ricordata la connessione profonda tra questa memoria e quella del 16 ottobre 1943. Anzitutto, per un atto di umanità, l’ultimo che venne offerto agli oltre mille ebrei romani prima del lager: il treno che li deportava ad Auschwitz fermò in stazione a Padova. Gente semplice, ferrovieri e crocerossine, aprirono i vagoni in cui erano stipati i deportati offrirono loro cibo e acqua, si impegnarono per alleviarne dolori e sofferenze. Oggi una lapide commemorativa ricorda quel gesto. Poi, perché la marcia del 3 dicembre è figlia di quella del 16 ottobre, che da 20 anni vede insieme Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma. Una marcia che unisce cristiani ed ebrei in un’amicizia cresciuta negli anni proprio nel rifiuto di questa barbarie. Per questo, mi piace anche pensare che non è per un semplice caso che il rabbino capo di Padova, Rav Adolfo Locci, sia figlio della Comunità ebraica di Roma e amico da sempre della Comunità di Sant’Egidio e che non sia solo una coincidenza che su quel treno fermato a Padova, c’era la dodicenne Emma Terracina, zia di sua moglie.
E’ proprio l’aspetto dell’amicizia, quello sottolineato nel suo intervento anche da don Giovanni Brusegan, delegato vescovile per la cultura, l’ecumenismo e il dialogo tra le religioni.
Il tema della responsabilità verso le future generazioni di mantenere viva la memoria è stato ribadito dall’assessore alle politiche sociali del Comune di Padova Alessandra Brunetti. I ricordi e le voci di allora si sono quindi mescolate alle domande e alle preoccupazioni del presente. Lo ha ricordato con lucidità il presidente della Comunità ebraica, Davide Romanin Jacur, richiamando le guerre in corso non lontano dall’Europa, e le persecuzioni in atto nei confronti delle minoranze in Siria e in Iraq. Sulla necessità di far crescere una coscienza memore e umana si è soffermata pure Alessandra Coin, responsabile della Comunità di Sant’Egidio di Padova, soprattutto di fronte a tante manifestazioni di disprezzo per chi è diverso, al crescere di una violenza diffusa, e a una mentalità aggressiva. Il senso profondo della marcia del 3 dicembre è proprio questo: raccogliere attorno a una memoria dolorosa un popolo largo, padovani, immigrati, giovani, per affrontare le sfide odierne non gli uni separati dagli altri, ma gli uni assieme a gli altri, per un futuro migliore.
Mirko Sossai
(5 dicembre 2014)