Bologna, festa per i 60 anni del Tempio
Otto Sifrei Torah dispiegati attorno alla Tevah, il pulpito. Otto come le luci di Chanukkah, la festa che simboleggia la vittoria dell’identità contro l’assimilazione. Un duplice momento gioioso per tutta Bologna nel giorno in cui si celebrano i 60 anni di storia della sua sinagoga.
Settembre 1954: il presidente della Comunità ebraica Eugenio Heiman e il rabbino capo Sergio Sierra inaugurano il Beth haKnesset progettato da Guido Muggia. È un giorno straordinariamente significativo, un messaggio di speranza nel futuro per una realtà che nell’abominio nazifascista aveva perso, appena pochi anni prima, oltre un terzo dei propri iscritti. Dicembre 2014: i loro omologhi contemporanei, Daniele De Paz e rav Alberto Sermoneta, accolgono in sinagoga molte centinaia di persone, tra cui il sindaco Virginio Merola, ribadendo il filo indissolubile che lega gli ebrei bolognesi alla loro città.
Nozze “di diamante”, come ricordato dal rav, che segnano un momento fondamentale nella storia della kehillah felsinea ribadendo la particolarità del legame che vi è tra ogni ebreo e il luogo di culto (un rapporto che ricalca, per l’appunto, “il vincolo matrimoniale”) oltre ad impegnarla, come sottolineato dal presidente De Paz, a riempirla ogni giorno di “contenuti, stimoli e vita ebraica”. Il pensiero del rav è andato a chi l’ha preceduto nella cattedra bolognese (rav Cesare Tagliacozzo, rav Scialom Bahbout, rav Jacov Malki, rav Alberto Someck, rav Moshé Saadoun) oltre naturalmente all’indimenticato rav Sierra, scomparso nel 2009.
Ad intervenire anche il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach e i rabbini Adolfo Locci (Padova), Beniamino Goldstein (Modena) e Luciano Caro (Ferrara). Al loro fianco l’altro vicepresidente UCEI Giulio Disegni e il consigliere dell’Unione David Menasci, mentre l’accompagnamento musicale è del prestigioso conservatorio bolognese.
“Ogni singola Comunità ebraica italiana è portatrice di cultura e valori sia etici che morali. Forte è l’impegno dell’Unione per aiutare a diffondere questo messaggio su tutto il territorio”, ha sottolineato Jarach. Molteplici gli spunti arrivati dai discorsi dei rabbanim: l’impegno per la fratellanza e l’armonia tra i popoli (rav Caro), il valore dell’identità ebraica come baricentro della propria esistenza (rav Locci), la sfida di far rivivere la fervente vita comunitaria che contraddistingueva le antiche “scole” dell’Italia ebraica (rav Goldstein).
In dono a tutti i presenti un opuscolo, realizzato in collaborazione del Dec UCEI, che raccoglie aneddoti e riflessioni attorno a questi 60 anni con i contributi, tra gli altri, del rav Roberto Della Rocca, della consigliera comunitaria Ines Miriam Marach e dell’architetto Andrea Morpurgo.
Commovente la testimonianza dell’antico Maestro. “Sono stato il primo rabbino impegnato a Bologna nel dopoguerra, dal 1948 a tutto il 1959. Tutto era distrutto – scrive rav Sierra – il Tempio ridotto a un cumulo di macerie, l’edificio della Comunità pressochè fatiscente, ove mancavano persino i tubi del gas, ma soprattutto vi era un’enorme tristezza per il vuoto lasciato da coloro che erano stati deportati. Vi era un senso di smarrimento generale. Questo significò, per me e per mia moglie, partecipare con enorme volontà, spirito di sacrificio e tanto entusiasmo, alla ricostruzione della piccola Comunità bolognese per concretare nuove condizioni storiche, per un’esperienza culturalmente ebraica e umanamente significativa”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(21 dicembre 2014)