J-CIAK – Dieci film da vedere
Lo so, non è originale. Di liste sul meglio e il peggio del 2014 abbiamo fatto il pieno. E comunque il nostro anno non finisce né comincia adesso. Però. Al gusto della classifica non si resiste e dunque, in ordine sparso, ecco le scelte di J-Ciak. Dieci film da vedere o rivedere, molti in odore di Oscar.
1. Caricaturistes, fantassins de la democratie. Menzione d’onore doverosa, dopo il sanguinoso attentato al Charlie Hebdo di Parigi. Diretto da Stéphanie Valloatto con la collaborazione di Radu Mihaileanu (“Train de vie”, “Vai e vivrai” e “L’orchestra”), il film intervista 12 disegnatori di paesi diversi uniti dalla battaglia per la libertà d’espressione.
Da vedere perché – come dice l’israeliano Michel Kichka, uno dei protagonisti – la libertà di esprimersi “non è mai garantita e sempre va riconquistata, nelle democrazie come nelle dittature”.
2. Grand Budapest Hotel. Visionaria creazione diWes Anderson, ci trasporta ai tempi dell’Austria felix ispirandosi agli scritti di Stefan Zweig, ebreo, autore della bella autobiografia Ricordi di un europeo, in esilio e poi suicida dopo l’avvento del nazismo.
Da vedere perché, come dice il regista, “ … in qualche modo gli eventi accaduti in quegli anni in Europa sono ancora oggi al centro delle nostre vite”. Perché il ritmo è indiavolato, perché si ride e ci si commuove e perché Ralph Fiennes e Adrien Brody sono strepitosi.
3. Ghett. Diretto e interpretato da Ronit Elkabetz, che ne ha scritto la sceneggiatura insieme al fratello Shlomi, racconta la lotta di Vivian Amsalem per avere il divorzio. Il marito si ostina a negarglielo e i giudici del tribunale rabbinico abusano di formalismi, ambiguità e ritardi. E’ il film israeliano candidato all’Oscar.
Da vedere perché Ronit Elkabetz è considerata l’AnnaMagnani d’Israele, perché il cinema israeliano è in piena fioritura e perché mostra uno dei lati meno conosciuti di quella società, in cui matrimonio e divorzio sono istituzioni religiose e non civili, e il “ghett” deve essere concesso dall’uomo.
4. Foxcatcher. Diretto dal talentuoso regista ebreo-americano Bennett Miller e ispirato a un terribile fatto di cronaca del 1996, racconta lo strano rapporto tra il ricchissimo ed eccentrico John duPont, interpretato da Steve Carell, e i fratelli Mark e Dave Schultz, sullo schermo Mark Ruffalo e Channing Tatum, lottatori entrambi vincitori dell’oro olimpico.
Da vedere perché Steve Carell (reso irriconoscibile da un enorme naso), non dai ruoli comici per cui è diventato famoso, è bravissimo e perché, anche se sai come va a finire, il film è di quelli che tengono con il fiato sospeso.
5. Noah. La storia di Noè e del diluvio nel racconto immaginifico di Darren Aronofoski e l’interpretazione di Russell Crowe. La vicenda biblica è riveduta e romanzata quel tanto che basta a strappare la lacrima anche ai più duri di cuore. Gli effetti speciali, soprattutto l’ingresso degli animali nell’arca e l’avanzare delle piogge,sono notevoli.
Da vedere perché anche se tra mostri, ondate impressionanti e paesaggi sconfinate la sensazione èpiù Signore degli anelli che Bibbia ci sono frammenti di rara bellezza. Perché ci si confronta con una delle vicende più belle della Torah e ci si prepara per “Exodus, dei ed eroi” di Ridley Scott, in Italia tra una settimana.
6. Dancing Arabs. Diretto da Eran Riklis, mescola due romanzi dello scrittore arabo-israeliano Sayed Kashua, di recente al centro di feroci polemiche, e racconta la storia di un ragazzo che lascia il villaggio arabo in cui è nato per andare a studiare in una scuola ebraica, con tutte le difficoltà e le speranza che ciò comporta.
Da vedere perché è un film di strettissima attualità e filtra le asprezze del conflitto mediorientale attraverso le sensibilità dei singoli, senza nascondersi dietro la foglia di fico del politically correct.
7. Ida. Bianco e nero, Polonia, anni Sessanta. E’ lo scenario in cui Pawel Pawlikoswki dipana il dramma di una giovane donna che mentre si accinge a prendere i voti, scopre che i suoi genitori erano ebrei e sono morti durante l’occupazione nazista.
Da vedere perché è una bella riflessione su identità, radici, famiglia alla luce della tragedia nazista e dello stalinismo e perché le atmosfere, così malinconiche e rarefatte, sono indimenticabili.
8. Zero Motivation. Le vicende di un gruppo di soldatesse di stanza nel Sud d’Israele che passano il tempo giocando videogames, servendo caffè al boss e tramando per farsi trasferire a Tel Aviv. Diretto da Talya Lavie, ha vinto il prestigioso premio del Tribeca Film Festival.
Da vedere perché non sarà la risposta israeliana al mitico “Mash” di Robert Altman, come ha dettoqualcuno, ma è il primo film che racconta l’esercito dal punto di vista delle ragazze con uno sguardo ironico e attento, senza ideologie o filtri politici.
9. The Congress. L’israeliano Ari Folman, già autore di “Valzer con Bashir” adatta ai nostri tempi Il congresso di futurologia, un classico di Stanislaw Lem. La bellissima protagonista (Robin Wright) è una celebre attrice che vende la sua immagine senza immaginare cosa ne verrà fatto.
Da vedere perché ci proietta in un futuribile e non tanto improbabile domani dominato da bellezza, gioventù, soldi, chimica, omologazione. E perchéFolman mescola scene quasi documentaristiche e raffinate animazioni con una tecnica impareggiabile.
10. Diplomacy. Parigi, negli attimi drammatici prima che i nazisti si ritirino il console svedese Raoul Nordling riesce a convincere il generale Dietrich von Choltitz, comandante della piazza parigina, a non ridurre in macerie la città come voleva Hitler.
Da vedere perché il regista Volker Schlöndorff (“Il tamburo di latta”) mette in scena un gioco diplomatico così carico di tensione che si rimane incollati allo schermo anche se si sa bene che, per fortuna, alla fine Parigi non è bruciata.
Daniela Gross
(8 gennaio 2015)