Ricordare Stefano. 33 anni dopo
“Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.
Le parole con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato il piccolo Stefano Gaj Taché hanno suscitato attenzione e commozione in tutta l’opinione pubblica, anche in chi quella storia terribile la conosce bene. Come gli storici Arturo Marzano e Guri Schwarz, autori del libro “Attentato alla sinagoga. Roma, 9 ottobre 1982” (ed. Viella) che molto ha fatto parlare di sé in questi anni.
“È stato bellissimo, un momento del tutto inaspettato. L’attentato alla sinagoga e l’uccisione di Stefano fanno parte della storia di questo paese ed è giusto che l’Italia rifletta e si assuma le sue responsabilità. Adesso la speranza è che il piccolo Stefano possa essere finalmente inserito nella lista delle vittime del terrorismo ricordate in forma solenne dal capo dello Stato. La mia convinzione, anche alla luce degli ultimi accadimenti – commenta Marzano – è che manchi ormai poco all’iscrizione del nome”.
Relativamente al discorso di insediamento del presidente Mattarella, di cui dice di aver apprezzato l’efficacia e la forza del messaggio, lo studioso spiega che avrebbe comunque preferito l’espressione ‘bambino ebreo italiano’ così da esplicitare più chiaramente l’appartenenza di Taché. “Ma è stato comunque un gesto importante e significativo, rafforzato con il riferimento all’ondata di odio e antisemitismo in Europa”.
Soddisfazione per il ricordo di Stefano, ma anche un richiamo affinché non siano confusi piani diversi nell’analisi di Guri Schwarz. “Bene che le istituzioni lo ricordino, che quella storia sia entrata con ritardo e fatica nelle mappe mentali dello Stato e dei suoi rappresentanti, che pure avevano negato ed espulsa per tanto tempo quella memoria. E tuttavia viene da chiedersi se l’episodio sia ricordato correttamente. Davvero – si domanda – quell’attentato può essere collegato alla violenza religiosa e al fondamentalismo? O forse è un’altra storia?”. Schwarz ricorda infatti come l’attacco sia stato compiuto dalla fazione di Abu Nidal e come il terrorismo palestinese degli anni Settanta e Ottanta fosse piuttosto animato dalla variante araba del leninismo e da sentimenti tipici “di ogni movimento di liberazione nazionale”.
Il tentativo di trovare un appiglio nella storia italiana per riallacciarsi alle sfide del presente risulterebbe fuorviante, rileva lo studioso, così come il parallelo con il nazismo fatto nel corso della visita alle Fosse Ardeatine. “Il che non toglie che, ovviamente, i leader politici non facciano gli storici. E che, tutto sommato, si può dire sia loro compito riconnettere il passato al presente per rispondere a sfide nuove”. Resta comunque una domanda di fondo: “Non è inquietante che l’Italia si ricordi di questo episodio soltanto 33 anni dopo?”.
(Nell’immagine una scena straziante nei momenti immediatamente successivi all’attacco dei terroristi)
(4 febbraio 2015)