Roma – Costruire la Memoria. Con la didattica
Nella sede della Fondazione del Museo della Shoah di Roma, alla presenza del direttore scientifico della Fondazione Marcello Pezzetti e di David Meghnagi, direttore del Master, si è tenuta la sessione di diploma del Master in Didattica della Shoah istituito all’Università Roma Tre nell’anno accademico 2005/2006. I dottori, Antonella La Greca, Marco Caviglia, Roberto D’Angeli e Libera Picchianti hanno conseguito il diploma elaborando studi che vertono su vari ambiti legati alla Shoah, con argomenti assai differenti e molto interessanti: Cinema e Shoah. Gli anni del grande silenzio 1947-1966; L’assistenza ai profughi ebrei durante il secondo conflitto mondiale. Il caso Valobra; Il partito fascista repubblicano e la persecuzione degli ebrei; I persecutori nazisti in Italia nella didattica della Shoah.
Nel merito, Antonella La Greca si è cimentata sulla disamina del rapporto tra il Cinema e la Shoah, nel lungo silenzio che attiene l’Italia negli anni tra il 1947 e il 1966. Durante questo periodo vengono prodotti dei film ma sono di scarso valore cinematografico se li si paragona al resto d’Europa, tra cui è utile rammentare “L’ultima tappa (Ostatni etap, di Wanda Jakubowska, 1947), il francese Notte e nebbia (Nuit et brouillard, di Alain Resnais, 1956)”, e il cortometraggio The ambulance del 1961 con un linguaggio cinematografico essenziale e altamente raffinato. Le opere europee più significative, in Italia vengono ostracizzate e mutilate dalla censura poiché trattano della Shoah, “un tema “scomodo”, per l’Italia di quegli anni. L’Italia, uscita da poco dal fascismo e dalla guerra, defascistizzandosi “rapidamente ma superficialmente, genera in quegli anni un’autonarrazione filmica” che si fonda sulla “mitizzazione degli Italiani brava gente e su un generico antifascismo che mistifica la realtà della persecuzione antiebraica.
Marco Caviglia mette a punto una tesi sulla storia della DELASEM – Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, che ha operato in Italia principalmente tra il 1939 e il 1947. L’obiettivo dell’organizzazione era di offrire assistenza in vari ambiti – materiale, burocratica, morale e religiosa – sia nei verso gli ebrei provenienti da ogni parte d’Europa e decisi a emigrare oltreoceano, sia di quelli internati nei campi fascisti. “Dalla sede principale di Genova, il presidente Lelio Vittorio Valobra, si preoccupò di creare una rete di referenti della DELASEM ben ramificata in tutta Italia, presente all’interno delle principali Comunità Ebraiche come nei singoli campi d’internamento”. Dapprima la delegazione riuscì ad operare alla luce del giorno, mentre durante l’occupazione nazista fu costretta a compiere la sua attività clandestinamente, dalla Sede del Convento dei Cappuccini di Roma sito in Via Sicilia. Di fatto, “dopo l’occupazione tutta la struttura si sgretola, a causa degli arresti e degli espatri clandestini, rimarranno solo delle cellule di assistenza autonome tra cui, quelle di Genova e Roma”. In particolar modo, la DELASEM riuscì a comprendere che non si trattava più solo ed esclusivamente di pogrom, ma di qualcosa di nuovo rispetto al passato. Per questi versi, un’altra peculiarità della sua attività si delineò nella capacità di informare prontamente gli enti internazionali, quali ad il Joint, di questo importante cambiamento.
La tematica analizzata da Roberto D’Angeli porta l’attenzione alla persecuzione degli ebrei in Italia su ambiti espressamente politici, legati sia al partito fascista sia al fascismo repubblicano. L’autore indaga in che modo la struttura politica ufficiale fu di impulso e supporto a quella amministrativa nelle procedure persecutorie degli ebrei dichiarati “nemici” del risorto stato fascista, esaminando “come e in quali settori si espresse e manifestò l’antisemitismo del partito durante la Repubblica sociale”. Lo studio affronta alcune fonti poco indagate, quali “la pubblicistica d’epoca e letteratura secondaria di settore”, analizzando puntualmente due fogli del partito repubblicano pubblicati dopo l’8 settembre fino alla fine della Repubblica di Salò: Brescia Repubblicana e Bergamo Repubblicana.
Lo studio di Libera Picchianti analizza i persecutori nazisti in Italia per il tramite di documenti tedeschi alla mano, nella finalità di utilizzarli in modo didattico “per lo sviluppo di una coscienza critica nell’ambito di un’educazione civica che consolidi i valori dell’autonomia, della libertà di pensiero, dell’amore per la pace e del rispetto della diversità”. Il lavoro verte, infatti, sull’esame delle biografie dei nazisti, anche con il fine di rintracciare un metodo che porti a ulteriori spunti anche per le sfide della didattica. Dai profili emerge che si tratta di persone “colte”, sono degli “intellettuali”, alcuni dei quali provengono dalle università. Sono ufficiali tedeschi che hanno fatto “esperienza” nei vari contesti europei dove hanno messo a punto le loro strategie criminali perfezionandole e adattandole alle situazioni più diverse. Un lavoro che, come hanno sottolineato nella discussione Meghnagi e Pezzetti, offre utili spunti per la didattica.
Gli studi presentati dai diplomati del Master, di respiro assai ampio, possono offrire ulteriori spunti sullo studio della Shoah nell’opportunità di superare quella “zona grigia” descritta da Primo Levi, zona intermedia in cui si possono creare, incuneandosi, ambiti e pratiche perverse e criminali, o estremiste, senza che nessuno se ne possa accorgere. Agire attraverso lo studio, partendo dalla didattica, afferma Meghnagi, può portare al superamento di questo luogo non luogo che si anima e vive sull’ambiguità: area intermedia in cui i confini non sono mai definiti, e in cui le identità sono tanto confuse da non evidenziarsi mai perfettamente e alla luce del giorno.
Elena Albertini
(12 aprile 2015)