A proposito di Leopardi
Da insegnante di italiano ho trovato molto intriganti le considerazioni di Alberto Cavaglion sul canone degli intellettuali ebrei e sul loro scarso amore per Leopardi. Da profana, perché non ho mai approfondito la questione, devo dire che non lo avrei mai immaginato, anzi, istintivamente avrei supposto il contrario. Meno di un mese fa, allo Shabbaton di Ivrea, David Terracini ha messo in scena un breve dialogo tra un personaggio vivente e un coro di morti; pur nella totale lontananza dei contenuti questa circostanza casuale mi aveva portato a riflettere su come nell’ambito della cultura ebraica il tema dell’aldilà possa essere trattato solo a condizione di non prendersi troppo sul serio, un po’ come accade nel leopardiano Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie.
Altra cicostanza casuale: da poco ho finito di leggere “Ranocchi sulla luna” (ed. Einaudi), il libro che raccoglie i testi di Primo Levi sugli animali. Di somiglianze e differenze con le “Operette morali” discute Ernesto Ferrero nell’introduzione ed è certo un tema troppo complesso per parlarne in queste righe (vale comunque la pena di notare almeno una citazione esplicita: l’elzeviro scritto per la Stampa intitolato “Le più liete creature del mondo”, in cui Levi prende spunto dall’Elogio degli uccelli). Sarebbe un po’ ingenuo da parte mia indicare il pessimismo di Leopardi come presunto colpevole di qualche incomprensione degli ebrei nei suoi confronti, anche perché oggi faremmo davvero fatica a definire pessimista la fiducia in una possibile solidarietà tra tutti gli uomini espressa nella Ginestra. Anche a proposito degli uccelli Levi si mostra ben più disincantato di Leopardi. Eppure forse anche un’ipotesi ingenua può contenere un fondo di verità. Penso per esempio a un altro racconto di Primo Levi contenuto in Ranocchi sulla luna, “Pieno impiego” (originariamente in “Storie Naturali”), che ci narra di proficue trattative tra uomo e insetti che portano a risultati sorprendenti con piena soddisfazione reciproca. Sarebbe difficile immaginare Leopardi che scrive qualcosa di simile.
Anna Segre, insegnante
(17 aprle 2015)