Qui Milano – Sei candele per la Memoria

Liliana Segre candela Una cerimonia semplice e carica di commozione quella svoltasi giovedì sera alla sinagoga centrale di via della Guastalla a Milano per celebrare Yom HaShoah, il giorno del calendario ebraico dedicato alla commemorazione delle vittime della persecuzione nazifascista. Come ogni anno, sono stati letti i nomi degli ebrei partiti da Milano per i campi di sterminio, forniti dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, ma anche quelli forniti da alcune famiglie che volevano ricordare i loro cari partiti da altre città. A scandirli gli studenti dell’ultimo anno delle superiori iscritti alla Comunità di Milano, provenienti da molte scuole del territorio non solo milanese ma anche lombardo. A coordinare l’organizzazione dell’iniziativa l’Associazione Figli della Shoah, che ha lavorato insieme alla Comunità ebraica di Milano, alla Fondazione CDEC, e alla Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. Presenti alla cerimonia i due neo eletti presidenti della Comunità Milo Hasbani e Raffaele Besso e il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Fondazione Memoriale della Shoah Roberto Jarach.
Ad accompagnare la lettura della lunga e dolorosa lista di nomi, anche la luce di sei candele in ricordo dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah. Chiamati ad accenderle alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio, tra cui Liliana Segre e Miriam Linker, i parenti di alcuni sopravvissuti, tra cui Davide Fiano nipote di Nedo, Barbara Silvera, nipote di Lelio e Bahia e della loro figlia Violetta, e Nina Szulc figlia di Pessa Opatowska, e rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia.
Dopo un minuto di silenzio e di cordoglio, ha poi preso la parola il rabbino capo Alfonso Arbib per una breve riflessione. “La Torah – ha detto – ci insegna che di fronte a tragedie così immense, come la perdita dei figli nel caso di Aaron che rimase in totale silenzio, o come la Shoah che ricordiamo oggi, non vi sono possono essere parole per descrivere il dolore che si prova”. Rav Arbib ha poi riportato il racconto di un nonno sopravvissuto alla Shoah che ha detto al nipote che arrivato a più di ottant’anni era arrivato per lui il momento di avere la sua vendetta, e che tale vendetta era avere la possibilità di celebrare il suo bar mitzvah, che era stata negata all’età di tredici anni. “Molti affermano che il popolo ebraico sia vendicativo – ha concluso Arbib – ma il vero modo per dimostrare la nostra forza è l’osservanza dell’ebraismo”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(17 aprile 2015)