25 Aprile – Il coraggio del partigiano bambino
Non aveva ancora 13 anni quando la sua vita fu spezzata nel corso di un rastrellamento tedesco a Gombola (Polnago-Modena), nel settembre del ’44. Nato a Mantova il 20 settembre del 1931, più giovane partigiano a cadere sotto il fuoco nemico, Franco Cesana è una delle figure che meglio testimoniano, con l’incisività e il coraggio del suo impegno, il contributo offerto degli ebrei italiani alla Resistenza. “Adolescente pieno di slancio e di spirito patriottico, appena tredicenne si arruolava nelle formazioni partigiane, segnalandosi per ardimento e sprezzo del pericolo in missioni di staffetta e in numerose azioni di guerra”, si legge nel testo che accompagna la Medaglia di bronzo al valore militare conferitagli per il suo eroismo. “Colpito a morte – è ancora scritto – cadeva da eroe incitando i compagni a persistere nella lotta”.
Bologna, Torino, Roma. E ancora Bologna, la clandestinità sugli Appennini, la lotta partigiana. Sono tante le tappe in una vita breve e travagliata. Un’infanzia destinata a interrompersi in ragione delle circostanze contingenti e che rivive nella testimonianza condivisa con la redazione di Pagine Ebraiche da Ziva Modiano, sua cugina, che ricorda come durante la guerra, rimasto orfano del padre Felice, Franco fu per un breve periodo ospite del Pitigliani di Roma, oggi centro culturale ma allora orfanotrofio rivolto alla gioventù ebraica in difficoltà. “Sua madre, mia zia Ada Basevi, aveva accettato di inviarvelo perché proseguisse gli studi. Io andavo a prenderlo la domenica per fargli trascorrere una giornata in famiglia e per fargli avere un buon pasto”, spiega Ziva. Una volta però l’uscita dall’istituto gli fu perentoriamente negata: “Aveva buttato all’aria i cuscini giocando con gli altri bambini. Era un ragazzino piuttosto vivace – sorride la cugina – e al Pitigliani erano severi”.
Nell’estate del ’44 scappa per raggiungere il fratello Lelio, che aveva già abbracciato la lotta partigiana. Nell’ultima lettera alla madre, riportata negli scorsi giorni da Liliana Picciotto sul nostro notiziario quotidiano, Franco scrive: “Ti avverto che non ho detto quella cosa che tu sai e che mi hai fatto giurare”. Il riferimento è all’identità ebraica di Cesana: un’identità che, spiega Ziva, la madre gli aveva fortemente raccomandato di celare per paura che nella divisione partigiana “potessero esserci dei delatori”.
Suo nome di battaglia era “Balilla”, mentre il corpo cui prestò servizio era la brigata Scarabelli della 2a divisione Modena Montagna. Tra i luoghi che ne tramandano la memoria alle nuove generazioni due scuole elementari che portano il suo nome, una a Roma e l’altra a Bologna. Sempre la Capitale, nel 1994, ha solennemente ricordato Franco Cesana in Campidoglio. “Il ricordo di questa giovane vita offerta come purissimo sacrificio sia per tutti occasione di profonda riflessione sui valori perenni della libertà , della tolleranza, della democrazia che attraverso la centralità dell’uomo e della sua dignità costituiscono sicuro argine a qualsiasi discriminazione etnica, religiosa e razziale”, le parole pronunciate allora dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(24 aprile 2015)