La ginestra
“… e fur città famose / Che coi torrenti suoi l’altero monte / Dall’ignea bocca fulminando oppresse / Con gli abitanti insieme.”
In questi versi della “Ginestra o il Fiore del Deserto” (1836), Giacomo Leopardi faceva riferimento alla forza distruttrice del Vesuvio che spazzò via le città di Pompei ed Ercolano, ciò si inseriva nella seconda fase del poeta del pessimismo cosmico, nella quale la natura veniva percepita come una “matrigna”, volta ad opprimere l’uomo dalla nascita sino alla sua dipartita. Chissà, Leopardi cosa avrebbe scritto, se fosse nato ai giorni nostri, dove sono soprattutto gli uomini, più che i fenomeni naturali, a distruggere città e persino rovine di città. Palmira, in Siria, minacciata dopo la conquista del Daesh, potrebbe essere forse la prossima, e così molte altre.
E se come ha scritto lecitamente Tobia Zevi a proposito dell’eventuale scomparsa di Palmira: “Perché il danneggiamento di un luogo può ferirci più di migliaia di morti?”; io aggiungerei, che non v’è dubbio che qualche pietra non potrà mai valere come una vita umana, e questo credo sia anche ciò che potrebbero insegnarci i Rabbanim, ma se cancelliamo la storia con i suoi cimeli e i suoi ruderi, cosa avremo da insegnare al resto dell’umanità e a coloro che resteranno in vita?
Francesco Moises Bassano
(29 maggio 2015)