…terra
Alla mia asserzione della scorsa settimana sulla aterrirorialità transnazionale degli ebrei vanno aggiunte due riflessioni.
La prima, necessaria, è che non si può trascurare il fatto epocale della ricuperata sovranità nazionale, territoriale e politica, degli ebrei che ha modificato radicalmente le condizioni di gioco dei precedenti due millenni e ha creato le nuove fondamenta senza le quali gran parte dell’odierna esperienza non solo di Israele ma anche della diaspora ebraica non potrebbe sussistere. La seconda riflessione, forse più complessa, segue una visita a Uluru, la rocca sacra alle nazioni tribali del grande deserto al centro del continente australiano. L’imponente formazione rocciosa ricoperta dalla fine polvere rossa del deserto comprende delle aree in cui sono avvenuti episodi fondamentali nell’epopea della popolazione locale. In questi siti è vietato fotografare perché nella narrativa tradizionale la storia vive esattamente dove è avvenuta. Fotografare per raccontare altrove i fatti e le persone significa asportare la storia dal suo luogo esistenziale e quindi profanarla. Interessante concetto, che induce a riflettere sull’universalità e sull’esclusività dei luoghi. La suggestiva rocca rossa di Uluru non è legata in alcun modo alla storia degli ebrei (anche se in una pittura rupestre appare una figura che sembra approssimativamente una menorah; e fisicamente questa montagna sarebbe una piattaforma ideale dove ricevere un messaggio divino – magari le Tavole della Legge). E dunque la supposta aterritorialità transnazionale degli ebrei ha dei limiti obiettivi. Ma anche se la creazione del mondo è universale e quindi patrimonio di tutti, mi sembra giustificato concedere che ogni collettività che condivide una propria identità abbia anche il diritto a un suo proprio spazio esclusivo. È giusto dunque lasciare agli altri i loro propri spazi, ma anche chiedere che sia lasciato a noi il nostro.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(4 giugno 2015)