Debenedetti su Umberto Saba:
“L’identità si sconta vivendo”

Schermata 09-2457282 alle 14.44.29Mostra le prime crepe l’operazione editoriale intorno al libro del giornalista Roberto Curci “Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista” (Il Mulino). Come già annunciato il saggio ripercorre la vicenda del delatore ebreo triestino Mauro Grini, accusato di essersi reso complice dell’arresto di centinaia di perseguitati, ed era stato presentato sul Corriere della sera da Paolo Mieli sotto il titolo “Ebrei nemici degli ebrei” nel quale la fosca figura di Grini veniva accostata a quella del poeta Umberto Saba, la cui libreria antiquaria si trova ancora in via San Nicolò 30, lo stesso indirizzo della sartoria della famiglia Grini e che viene dipinto come prototipo dell’ebreo che odia la propria identità.
A intervenire sulla vicenda con una lettera al Corriere è oggi il critico e scrittore Antonio Debenedetti, figlio di uno dei massimi esponenti della critica letteraria del Novecento Giacomo Debenedetti, che dipinge un intimo e affettuoso ritratto del grande poeta.
Di questo libro controverso, abbiamo annunciato, si parlerà diffusamente nel numero di Pagine Ebraiche di ottobre, in distribuzione nelle prossime settimane, mentre ieri proprio su questo canale sono state anticipate due recensioni degli storici Anna Foa (“L’enigma non si scioglie”) e Simon Levis Sullam (“Le responsabilità italiane”) e una nota del direttore del giornale dell’ebraismo italiano Guido Vitale che portava il titolo “Traditori cercansi, meglio se ebrei. Quando una storia non fa la Storia”.
Debenedetti ricorda Umberto Saba, legato a suo padre da un profondo rapporto di stima e amicizia (proprio al critico, Saba confiderà la malattia nervosa che lo porterà sul lettino dello psicanalista Edoardo Weiss), come se fosse stato suo nonno – complice la lunga permanenza del poeta in casa loro – descrivendolo con un uomo irriverente che amava le provocazioni: “Sapendo che mio padre Giacomo, cui è dedicata la Storia e cronistoria del Canzoniere – racconta – aveva scritto una serie di conferenze sui profeti, un giorno gli disse, anzi gli sparò in pieno petto queste parole: «I profeti portano sciagura». Era quello il modo, tipicamente sabiano, di provocare per essere poi perdonato e sentirsi dunque nel perdono più amato”.
Antonio Debenedetti rimarca poi la profonda avversione del poeta al fascismo. “Di personale – scrive – posso aggiungere che venendomi a prendere a scuola, nell’immediato dopoguerra, un giorno Saba mi disse: «Ricordati, stupidello, tutto ciò che è nero è cattivo. I preti, i fascisti»”.
Nella lettera si fa infine riferimento ai figli nati da un matrimonio misto, figli come Antonio Debenedetti e lo stesso Saba, ebreo da parte di madre, rilevandone un elemento caratterizzante.
“Umberto diceva: i mezzi ebrei sono due volte ebrei perché si vedono essere ebrei”, la specificità che permette dunque di vedere se stessi e di analizzare la propria identità multipla sia da dentro che uscendo da se stessi. Perché, conclude Antonio Debenedetti: “L’ebraicità è un privilegio che si sconta vivendo”.

(17 settembre 2015)