Parigi, il giorno dopo

bassanoDopo le stragi di Parigi, un’Europa ancora più confusa, dubbiosa e disunita politicamente sembra essersi risvegliata dopo un lungo torpore. A scandire il tempo ci pensano le notizie di continui allarmi bomba, nuovi accoltellamenti e blitz in quartieri da poco ‘riscoperti’ per stanare terroristi che fino a qualche giorno fa facevano tranquillamente la spola tra un paese e l’altro grazie a Schengen. I social network – l’opinione pubblica del XXI secolo – si popolano di tanti analisti che scorgono naturalmente complotti e oscure trame, esclusive colpe occidentali con tanto di foto riciclate dal Daesh di improbabili vittime dei raid francesi, o intraprendono altrimenti la caccia all’islamico sotto i vessilli degli ultimi crociati.
Chi intravedeva nel conflitto in Siria l’anticamera della terza guerra mondiale tra Russia/Cina e Stati Uniti, vedendo in Putin il nuovo leader antimperialista, adesso con l’ipotetica alleanza francese, non sa più probabilmente dove sbattere la testa. Ovunque come dei muezzin molti chiamano – legittimamente – a raccolta l’Islam moderato per condannare, anche, questo evento, eppure probabilmente la spiegazione più logica e che per jihadisti e simpatizzanti quegli imam che cantano la Marseillaise davanti al Bataclan o scendono in piazza con i cartelli “Not in my name”, contano per loro alla stregua di Hollande o di papa Bergoglio.
In Italia siamo però in definitiva, tranquilli e al sicuro, perché come ha spiegato il ministro Alfano: “L’Italia fin qui non ha dovuto versare lacrime. La nostra strategia sta nel non provocare nessuno affermando che nel nostro paese c’è il diritto di culto”. Ignoto, rimane chi avesse ‘provocato’ giovedì scorso Nathan Graff a Milano per ritrovarsi vittima di un accoltellamento, sempre che essere ebrei non sia da considerasi già di per sé una provocazione. Del resto, appunto, come ho scritto all’inizio, questo non è altro che un ‘risveglio’ dopo un sonno tormentato. Perché ad un tratto ci ricordiamo dell’esistenza delle Banlieues, delle centinaia di foreign fighters, di sobborghi ‘esotici’ dal nome Molenbeek o Saint-Denis, della propaganda jihadista che da qualche anno gira in rete. Ma quando ci fu la strage di Tolosa, le uccisioni al Museo Ebraico di Bruxelles, Copenaghen, l’Hyper Cacher, Charlie Hebdo, le innumerevoli vittime di Boko Haram, gli attacchi al Bardo e poi a Sousse, le bombe ad Ankara, il Metrojet precipitato nel Sinai, gli attentati lo stesso giorno a Beirut, tutti quanti dormivano.
Forse allora qualcuno poteva sostenere che a rischio fossero soltanto gli ebrei, i giornalisti, i russi guerrafondai, i curdi, gli altri musulmani – non a caso la maggioranza delle vittime del Daesh – , ma non le persone ‘comuni’. Così, allora si scopre, riscopre, che il terrore è (anche) in mezzo a noi, che l’ISIS non è una masnada di burloni o di videomakers annoiati, che il mondo non è un villaggio globale solo su Internet, che in un modo o nell’altro, come quel detto su Maometto, la guerra si finisce pur sempre per incontrarla.
Di positivo rimane soltanto quel senso di solidarietà e di unità che è emerso in alcuni di noi. Un vero cosmopolitismo, che ci ricorda che Parigi è parte della nostra storia, della nostra cultura – che sia ebraica, italiana, europea è lo stesso -, che Parigi è anche dentro casa, come quel vascello che veleggia in via Parigi, a Roma – ricordato su queste pagine da Guido Vitale e Francesca Matalon – “Fluctuat nec mergitur”.
Confidando speranzosi che quella nave invece dello Scilicet, non divenga fatalmente la sfortunata fregata Méduse, e che non ne rimanga tra poco altro che quella zattera di naufraghi e disperati dipinta da Théodore Géricault nel 1818. Affinché ciò non avvenga, dipenderà dal vento, dal suo equipaggio e non per ultimo dai suoi passeggeri.

Francesco Moises Bassano

(20 novembre 2015)