Setirot – A pugni per la vita
Ventisei anni fa ebbi la fortuna di parlare a lungo, per un’intervista, con Salamò Aroch (zl), il boxeur ebreo di Salonicco deportato ad Auschwitz e costretto a battersi, e a vincere, per restare vivo. Arrivai a casa sua, periferia sud di Tel Aviv, e conobbi l’uomo che in Israele aveva deciso di chiamarsi Shlomo. Mi raccontò la propria storia, gli oltre duecento incontri combattuti sapendo che per chi perdeva si apriva la porta della camera a gas. Lo ascoltai sentendo risuonare nella testa le parole usate da Primo Levi per definire la “zona grigia” nel libro I sommersi e i salvati, quel qualcosa “dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi, che possiede una struttura interna incredibilmente complicata e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare”. Non giudicai, ascoltai.
Esattamente come credo vada sospeso ogni giudizio su una vicenda simile raccontata da Dario Fo in Razza di zingaro, appena pubblicato da Chiarelettere. Si narra la vita e la morte di Johann Trollmann (1907-1943), pugile sinti nella Germania nazista. Il giovane dilettante Rukeli (il soprannome in lingua romanì significa albero), peso mediomassimo che fin da ragazzino faceva andare le gambe e il busto proprio come i gitani quando ballano alle loro feste che illuminano la notte, fu escluso dalle Olimpiadi pur essendo il migliore. Poi, da professionista, si vide privare perché zingaro del titolo di campione tedesco conquistato sul ring. Tenne duro, accettò l’umiliazione beffarda di riprovarci “travestito” da ariano (i capelli scuri tinti di biondo, il corpo ambrato cosparso di borotalco), accettò anche la proibizione di saltellare sul ring. Una storia di avventure e di contraddizioni e di lotta. Che finisce quando, in Lager, Rukeli non accetta di far vincere un kapò durante un combattimento, e lo fa sapendo che la vendetta sarà la propria morte.
Stefano Jesurum, giornalista
(21 gennaio 2016)