sheva – melamed
Memoria, demenza e polemiche

header_melamedMelamed è una sezione specifica della rassegna stampa del portale dell’ebraismo italiano che da più di tre anni è dedicata a questioni relative a educazione e insegnamento. Al commento della selezione settimanale si aggiungono ora una sezione di news e le opinioni a confronto, parte del nuovo settimanale. Per visualizzare sheva-melamed cliccare qui.

“Altro che le nostre polemiche da cortile su canti natalizi, presepi e via dicendo. La questione della religione a scuola, ovvero l’unico reale e valido terreno di integrazione e insegnamento alla convivenza, va affrontata dall’Europa tutta insieme, e va affrontata in fretta con analisi e conseguenti strategie comuni. È un tema prioritario, dirimente, che dovrebbe davvero impegnare Stati e governi ben più di quanto accada (quasi nulla).” Così scrive Stefano Jesurum il 29 gennaio su Sette del Corriere della Sera, citando anche la posizione del rabbino capo del Regno Unito, Ephraim Mirvis, che reputa fondamentale che “i nostri figli abbiano una migliore comprensione dell’Islam”, raccomandando così alle scuole ebraiche di insegnare “una fede di cui molto si parla ma sulla quale nel discorso pubblico prevale spesso l’ignoranza”. Rav Mirvis, contrariamente a quanto scritto da Jesurum, faceva eco alle parole del presidente dell’Associazione britannica delle scuole musulmane, Ashfaque Chowdhury, che aveva indicato come prioritario l’inserimento sia del cattolicesimo che dell’ebraismo nel calendario scolastico degli istituti che alla sua Associazione fanno riferimento.

Perdere la Memoria. “A oltre settant’anni dalla più grande tragedia del secolo scorso, i nativi digitali cresciuti nell’epoca del terrorismo islamico, rischiano di conoscere quanto accaduto tra il 1938 e il 1945 alla stregua di un evento qualsiasi della storia, riassunto in dieci righe di un libro di storia o nel consueto film ‘Il bambino con il pigiama a righe'”. Questo racconta Alex Corlazzoli in un articolo pubblicato dal Fatto il 29 gennaio, in cui si affronta il problema del progressivo smarrimento della consapevolezza e della Memoria della Shoah, a partire dall’esperienza di retta in classe. È la poetessa Viviane Lamarque che sulle pagine milanesi del Corriere del 30 gennaio affronta lo stesso problema da un’altra angolatura “Ancooora? Ancora campi di concentramento? L’uomo comune, davanti alla tv, che mai dice ancora per quelle quotidiane imbarazzanti battute, per quei ridarelli e ridarelle euforici del niente, per quel ripetersi eterno del già visto, tutti i santi giorni dell’anno se li guarda, e poi giunta una volta l’anno la fine di gennaio, quell’anniversario, una volta all’anno non sopporta e lamenta annoiato ancora?”

Demenza digitale. Sono Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio Antisemitismo e Stefano Gatti, responsabile dell’Antenna Antisemitismo Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), che sulle pagine locali del Giorno parlano dei dati contenuti nel Rapporto nazionale sull’antisemitismo. “Sono frasi cariche d’odio. Vignette intrise di pregiudizi. Caricature che affondano le radici nel Medioevo. Messaggi antisemiti che corrono veloci da un social network all’altro. Facile lanciare la pietra dalla tastiera, nascondendosi dietro uno schermo e un nome di fantasia. È il lato oscuro del web, dove proliferano siti e pagine di matrice antisemita”, riporta l’articolo.

Razzismi, luoghi comuni e provocazioni. Racconta L’internazionale (29 gennaio) come il suicidio di uno studente dalit abbia messo in luce la discriminazione negli atenei indiani e suscitato manifestazioni di protesta nei campus di tutto il paese. I gruppi dalit stanno protestando nelle università di Mumbai, Pune, New Delhi e Chennai, e venti amministratori si sono dimessi. Tathagata Sengupta, che insegna matematica all’università di Hyderabad, ha commentato: “la fine delle caste è un sogno, ma tragedie come questa spingono la società a farsi delle domande”. Lo stesso giorno il New York Times scrive delle discriminazioni che avvengono nelle scuole pubbliche irlandesi, controllate al 97% dai Cattolici, e dove di fatto è difficile l’ingresso dei bambini he vengono da famiglie protestanti. Una situazione che l’85% della popolazione vorrebbe cambiare. Il 31 gennaio è di nuovo il New York Times a parlare di discriminazione a scuola, raccontando come due studenti di colore stiano usando i social media per raccontare le discussioni e le tensioni razziali fra studenti a Boston. Ed è del bulgaro Yanko Tsvetkov l’Atlante dei pregiudizi (Rizzoli), una mappa in cui ogni nazione è vista e giudicata dai suoi vicini. L’Italia ridotta a pizza e musei, la Grecia relegata a terra di vacanze e la Russia a riserva di gas Non va meglio alla Francia identificata con la Torre Eiffel e all’America caratterizzata da una popolazione di stupidi, in un mondo di luoghi comuni. (il Messaggero, 30 gennaio) Lanciata a Lovanio da Milo Yiannopoulos, giornalista greco-britannico, guru hi-tech e noto provocatore, la “Privilege Grant” è una fondazione che intende elargire borse di studio esclusivamente a studenti universitari bianchi e maschi per offrire loro “le stesse opportunità che hanno i loro colleghi queer, femmine e appartenenti a minoranze etniche”. (Il Foglio, 30 gennaio)
Feste islamiche per tutti. L’arcivescovo Angelo Scola, a conclusione di un ragionamento che partiva dal “meticciato” — tanto caro al cardinale — e arrivava alla presenza di “almeno un 20 per cento di alunni stranieri nelle nostre classi” ha dichiarato che “È giusto istituire una festa islamica in tutte le scuole, perché bisogna spiegare non vietare. Quindi nessuna rinuncia al presepe ma accoglienza”. “Una società plurale deve essere il più possibile inclusiva, ma non può rinunciare al simbolo se no perde forza comunicativa — ha continuato Scola — . Critico la laicità alla francese: non è pensabile creare uno spazio di neutralità, in cui tutti facciano un passo indietro sul tema delle religioni. Piuttosto, ciascuno si narri e si lasci narrare. Se aumentano i bambini musulmani, bisogna prendere qualcuna delle loro feste ed inserirle nella dimensione pubblica: spiegare, non vietare”

Boicottaggio insensato. Compare su diverse testate la vicenda del boicottaggio al Technion. I molti firmatari chiedono di bloccare qualsiasi collaborazione con il prestigioso ateneo di Haifa, ma è presto arrivata la risposta del sindaco di Torino – il politecnico della città ha da poco firmato un accordo di collaborazione con l’Israel Insitute of Technology. A Piero Fassino la petizione non è affatto piaciuta, e gli stessi sono i rettori a sconfessare i docenti: “La scienza è il miglior modo per superare le conflittualità. Boicottare Israele vuol dire boicottare la ricerca scientifica e questo non è mai un bene”, ha risposto Marco Gilli, magnifico del Politecnico di Torino. Gianmaria Ajani, che guida l’università torinese ha inoltre fatto sapere di essere al lavoro su progetti congiunti che nulla hanno a che fare con la violenza, ma si concentrano sull’acqua e sul biomedicale. Severo e indignato il rettore di Tor Vergata, Giuseppe Novelli, che ha concluso: “Stendiamo un velo pietoso, è un boicottaggio insensato. La scienza deve badare ai fatti e la produttività accademica del Technion parla da sola”.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(5 febbraio 2016)