Periscopio – Shylock
Il quarto centenario della morte di Shakespeare ha dato occasione, in tutto il mondo, di rievocare lo straordinario lascito culturale del grande poeta e drammaturgo inglese, e di sollevare una serie di domande riguardo all’attualità del suo messaggio artistico, ai molteplici debiti verso la sua opera da parte del pensiero moderno (che, senza tale opera, sarebbe certamente molto diverso da come lo conosciamo).
Per i lettori di questo notiziario quotidiano, naturalmente, tra tutte le tragedie di Shakespeare, una su tutte si impone all’attenzione, per il suo particolare valore sul piano della rappresentazione storica dell’identità ebraica e del contorto rapporto tra ebrei e gentili, ed è, naturalmente, Il mercante di Venezia. Difficile che, in una qualsiasi analisi, di qualsiasi tipo – storica, sociologica, letteraria, religiosa, economica – del fenomeno dell’antisemitismo, si possa prescindere da un riferimento alla fosca figura di Shylock, il torvo usuraio avido di sangue cristiano, che nella sofferenza dei suoi persecutori cerca di placare un antico, morboso desiderio di rivalsa e vendetta. Figura ripugnante e abominevole, l’empio strozzino ha rappresentato per secoli l’idea dell’ebreo come ricettacolo di perfidia e falsità, l’emblema di una natura reietta e ripugnante che solo il totale abbandono dell’esecranda appartenenza mosaica potrebbe, forse, guarire (solo attraverso l’abiura della religione e della comunità dei suoi padri, e l’ingresso nel nuovo popolo di Dio, la figlia dell’usuraio potrà trovare felicità, amore, salvezza). Eppure, la tragedia descrive anche con puntualità le crudeli vessazioni a cui l’usuraio era sottoposto dai suoi vicini cristiani, e sono celebri le parole con cui Shylock rivendica il proprio diritto alla vendetta, che è magistralmente descritto da Shakespeare come un sentimento assolutamente naturale, in grado di rivelare, meglio di qualsiasi altra considerazione, come gli ebrei siano, in tutto e per tutto, uguali agli altri uomini: “Sono un ebreo. Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? E se ci fate un torto, non ci vendicheremo? Se noi siamo come voi in tutto vi assomiglieremo anche in questo. Se un ebreo fa un torto ad un cristiano, qual è la sua umiltà? Vendetta. La cattiveria che tu mi insegni io la metterò in pratica; e sarà duro ma eseguirò meglio le vostre istruzioni”.
Testo classico dell’antisemitismo, il Mercante di Venezia solleva tuttavia molte irrisolte domande riguardo alle intenzioni sottostanti alla sua ideazione: intendeva l’autore, con tale testo, dare un attivo contributo all’odio antiebraico, trasfondendo nelle pagine della tragedia il suo personale disprezzo per gli ebrei? o si limitò piuttosto a recepire e rappresentare un sentimento che egli vedeva diffuso nella società in cui viveva, e che descriveva come semplice dato di fatto, senza una particolare adesione personale? O, addirittura, intendeva denunciare l’irrazionalità dell’antisemitismo, e la sua capacità di farsi moltiplicatore di odio e crudeltà? Questa terza ipotesi, che pure è stata fatta, mi pare inconsistente, giacché la ‘normalità’ di Shylock è esclusivamente in negativo, ossia nella capacità di odiare e di fare del male, ma in modo enormemente accentuato: l’ebreo odia, si vendica ed è crudele, come tutti gli altri uomini, ma lo fa meglio e di più, perché è ebreo. D’altra parte, l’assenza di riferimenti al tema nelle altre tragedie lascia pensare che Skakespeare non fosse personalmente interessato, in modo particolare, al tema degli ebrei (a differenza, per esempio, di alcuni intellettuali e politici nostrani, che non riescono neanche a parlare di calcio o di cucina senza infilare qualche schizzo di veleno contro Israele). Così, il Mercante di Venezia resta e resterà per sempre come un’impressionante testimonianza del carattere ‘oggettivo’ e ‘diffusivo’ dell’antisemitismo, ossia della sua capacità di diffondersi per semplice contagio ambientale, attraverso ‘portatori sani’ che se ne fanno trasmettitori. Probabilmente Shakespeare non era personalmente antisemita, nel senso di un suo particolare impegno su tale fronte, ma pensava degli ebrei, semplicemente, quello che pensavano, al suo tempo, più o meno tutti. E, con la sua arte, ci ha lasciato un’inquietante testimonianza di come l’antisemitismo sia perfettamente compatibile anche con la denuncia della sua illogicità e stupidità. Una cosa illogica, stupida e crudele, come, per esempio, la gelosia di Otello, eppure terribilmente forte e vera, come vera e forte sa essere l’illogicità, la stupidità e la crudeltà degli uomini.
Francesco Lucrezi, storico
(27 aprile 2016)