Qui Torino – Salone del libro
Tradurre, per cultura e passione
Un tirocinio da Trieste a Torino
È lungo, il percorso che porta al Salone del libro le studentesse della prestigiosa e selettiva Scuola per interpreti e traduttori dell’Università di Trieste, una volta sede dell’Hotel Balkan, che hanno scelto di svolgere il proprio tirocinio a fianco della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e non solo per il viaggio che le sta portando in queste ore ad attraversare l’Italia intera da est verso ovest. Si è aperto la scorsa primavera con la firma della convenzione fra le due istituzioni e la presentazione del progetto agli studenti, ha portato a una prima selezione di cinque ragazze che hanno iniziato a scoprire il lavoro della redazione durante l’edizione 2015 di Redazione aperta, il laboratorio giornalistico che dal 2009 riunisce a Trieste per due settimane i giornalisti dell’Unione e numerosi ospiti per un programma di lavoro comune arricchito di spunti e approfondimenti sempre preziosi. Nonostante l’impegno dei corsi e degli esami universitari e il periodo passato all’estero per l’Erasmus Giulia, Letizia, Ilaria, Giulia e Isabella hanno affiancato per un lungo periodo la redazione, portando oltre alla loro competenza uno sguardo fresco, e l’interesse e la curiosità di chi con la cultura e le tradizioni della minoranza ebraica italiana non aveva mai avuto a che fare. E nonostante tutte e cinque abbiano già completato il loro percorso traducendo ben più di quanto previsto dal tirocinio non considerano terminato il loro apporto e oltre all’incontro organizzato da Pagine Ebraiche nel giorno di apertura del Salone del Libro saranno ospiti della redazione a Torino – dove arriveranno nelle prossime ore – e hanno già espresso unanimemente la disponibilità e il desiderio di coltivare un rapporto che è stato più che positivo, mettendo a disposizione il tempo che gli impegni universitari lasceranno libero. La loro esperienza e le loro impressioni sono raccontate anche nel dossier Lingue e linguaggi, dedicato quest’anno a “Tradurre. Per cultura e per passione”, che sarà da domattina in distribuzione al Lingotto.
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“Pronto, parlo con il rabbino? Mi aiuta ad aiutarla?”
Dalle fiamme del Balkan alle prime cinque traduttrici al lavoro con la redazione. Un bilancio
Timida, ma determinata come tutti quelli che hanno un compito da portare a termine, Giulia infine ha preso il coraggio a quattro mani, e composto quello 00972 che serviva per mettersi in contatto con un rabbino italiano che si trova a Gerusalemme. “Pronto? Parlo con il rabbino? Scusi, lei non mi conosce, ma io ho qui un suo testo che non riesco a comprendere. Potrebbe aiutarmi?”. Oggi è lei a raccontare l’episodio ai giornalisti di Pagine Ebraiche e a spiegare le sue emozioni, la sua inquietudine prima di affrontare uno sconosciuto, appartenente a un mondo a lei lontano, per di più un rabbino. “È andato veramente tutto per il meglio. Interlocutore simpatico, disponibile, spiritoso. Testo subito chiarito. Mi auguro che la traduzione sia stata all’altezza di quanto aveva scritto”. Giulia forse non se ne rende conto, ma nelle scorse settimane di lavoro non ha solo offerto alle istituzioni dell’ebraismo italiano un dono di enorme valore. Ha anche proposto l’esempio di quello che molti ebrei italiani dovrebbero fare più spesso: cercare il proprio rabbino e chiedere insistentemente di capire, di chiarire. Nella sua professione non esistono le mezze parole, e nemmeno parole dette a caso. La sua stagione è quella del primo confronto con il mondo del lavoro e la sua scuola è il prestigioso laboratorio dell’Università di Trieste frequentato da giovani provenienti da tutta Europa che forma oltre la metà degli interpreti e dei traduttori italiani nelle istituzioni internazionali. Il suo tirocinio ha scelto di svolgerlo, assieme ad altre quattro compagne di studi, a fianco della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ora che l’estate si avvicina, e con la bella stagione la conclusione degli studi, volge al termine anche questa esperienza. La memoria ritorna alla primavera dello scorso anno, al momento del primo incontro in classe, proprio nel mitico edificio del Balkan dove oggi ha sede la Scuola traduttori e interpreti e che fu dato alle fiamme nell’azione squadristica che secondo gli storici segnò, nel 1920, l’annuncio del fascismo e dell’umiliazione dell’Europa. C’erano attesa e curiosità nell’aria, fra gli studenti della Scuola superiore traduttori e interpreti, la prima nella classifica del Censis che valuta la qualità della formazione accademica, mentre il direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Guido Vitale, saliva, accompagnato dalla professoressa Nadine Celotti e da Jose Francisco Medina Montero, docente della scuola e responsabile dei tirocini, la grande scala dell’edificio che è divenuto simbolo dell’Europa delle culture e delle genti. A pochi giorni dall’approvazione unanime da parte del Consiglio accademico della convenzione che segnava l’ingresso dell’Unione nel novero delle prestigiose istituzioni italiane e internazionali accreditate a gestire esperienze di formazione e tirocinio per i traduttori e gli interpreti di domani. “Qui dove quasi un secolo fa le fiamme appiccate dal primo squadrismo fascista divoravano vite, culture e speranze, aprendo la strada a tutti gli orrori e a tutte le sofferenze che seguirono – aveva detto ai ragazzi – oggi si studia per mettere in contatto i linguaggi del mondo. Dalla vostra prestigiosa scuola esce oltre la metà dei traduttori e degli interpreti italiani accreditati dalle organizzazioni internazionali. Nella vostra scuola si entra superando una selezione durissima e in molti casi la relazione fra candidati e ammessi tocca il rapporto dieci a uno. Oggi qui si apre l’opportunità di costruire una collaborazione utile ai giornali dell’ebraismo italiano realizzati da questa redazione, e in particolare al progetto plurilingue della International Edition, di Pagine Ebraiche, utile all’ebraismo italiano, ma necessaria anche e soprattutto alla società e alla democrazia, che nella cultura delle differenze, del pluralismo, della valorizzazione delle diversità possono trovare le uniche difese efficaci e l’unica strada praticabile per costruire assieme un futuro migliore”. Moltissime le domande, in questa prima presa di contatto con gli studenti, per conoscere più da vicino il lavoro della redazione e le opportunità di formazione, ma anche la storia e i valori testimoniati da oltre due millenni dagli ebrei italiani. Poi il momento di scegliere. Molti mesi di lavoro sono seguiti. Molti numeri del notiziario plurilingue Pagine Ebraiche International Edition sono usciti anche grazie all’impegno degli studenti che hanno deciso di partecipare. Questo testo serve per raccontare un momento della loro storia, per augurare loro ogni successo, per sperare che l’esperienza acquisita sia d’aiuto e protezione in un mondo del lavoro sempre più difficile. Ma soprattutto per dire grazie a tutti gli italiani come loro che ogni giorno, ognuno a proprio modo, ognuno secondo le proprie possibilità, donano qualcosa, piccola o grande che sia senza chiedere nulla in cambio, per sostenere la realtà ebraica italiana, i valori che testimonia, una lunga storia di difficili scambi che, nonostante tutto, ha reso, in oltre due millenni, il nostro paese, più ricco di risorse, di idee e di speranze.
L.P.
(Foto di Giovanni Montenero)
Giornalismo e realtà ebraica
“Il giornalismo mi ha sempre incuriosito, ne volevo un assaggio, così come della realtà ebraica, che non conoscevo per nulla e con cui non ho mai avuto contatti”. È soddisfatta della propria esperienza come tirocinante in redazione, Isabella Favero, che è cresciuta a Treviso e anche per questo motivo si è appassionata alla storia del Ghetto di Venezia: “Si tratta di un luogo che sento molto vicino, e ho imparato tantissime cose che non sapevo traducendo i testi del dossier. E mi sono segnata gli appuntamenti in programma, appena possibile vado a vedere almeno le mostre”. Confrontarsi con una cultura di cui si conosce così poco non è semplice, ma la difficoltà, secondo Isabella, è stata soprattutto il comprendere il senso profondo dei contenuti. “Non ho avuto problemi con la terminologia, quelle sono piccole difficoltà che fanno parte del lavoro e che siamo preparati ad affrontare, ma i testi che ho tradotto durante il tirocinio sono per me ora un punto di partenza per scoprire un mondo che non conoscevo”. La scuola insegna autonomia, serietà e a rispettare sempre rigorosamente tempi e modalità di consegna già prima di diventare professionisti della traduzione, ma come racconta Isabella “Svolgere il tirocinio insieme a delle compagne di studi è stato molto rassicurante, ci siamo potute suddividere il lavoro a seconda delle necessità del momento e anche confrontarci se c’erano punti più difficoltosi. Ora sono ancora più convinta di voler lavorare nel mondo dell’informazione… e anche se il mio periodo di tirocinio è finito se ci sono testi da tradurre lo faccio volentieri, tra un esame e l’altro”.
Primo, riscoprire l’italiano
“Mi avete dato fiducia, e trattato da collega. Questa è stata la cosa più importante per me: mi avete messa concretamente di fronte al mio lavoro”. Ilaria Modena è di Cuneo, e nonostante sia giovanissima ha grinta da vendere: entrata alla Scuola per interpreti e traduttori dell’Università di Trieste con l’inglese come prima lingua ha poi perfezionato lo spagnolo, anche con un periodo in Erasmus, ma confessa una passione per il portoghese, la sua terza lingua. Il confronto con la cultura ebraica è stato una scoperta: “A scuola avevo studiato la Shoah, e qualcosa d’altro, ma ora realizzo quanto poco si sappia, e come fossero nozioni stereotipate… Sono rimasta molto colpita dal lavoro che abbiamo fatto per il dossier sul Ghetto di Venezia: vedere come ci possano essere tanti punti di vista diversi sullo stesso argomento è stato interessantissimo. E ogni testo mi ha portata a cercare, a studiare, ad approfondire”. In realtà avrebbe voluto fare Lettere, poi un po’ di preoccupazione per il futuro l’ha convinta a puntare sulla Scuola per interpreti e traduttori. “Mi sono sempre piaciute le lingue straniere, ma soprattutto mi piace la mia. E imparando a fare questo lavoro, e ancora di più durante il tirocinio, ho realizzato che un traduttore ha molto più a che fare con la propria lingua di un laureato in Lettere. Durante il tirocinio, poi, la consapevolezza di non tradurre per un esame, o come esercizio, ha cambiato il modo in cui mi sono posta davanti ai testi: era la mia traduzione, il mio lavoro. Ero io responsabile”.
Un punto di partenza
Ha cambiato strada, la cremonese Letizia Anelli, e dalla Scuola per interpreti e traduttori è passata al Corso in Lingue e letterature straniere – sempre all’università di Trieste – ma ha fatto in tempo a completare comunque un tirocinio che aveva scelto un po’ per la possibilità di mettersi concretamente alla prova, un po’ per l’interesse verso il mondo dell’editoria. “Mi era anche piaciuta la presentazione, perché in realtà non è così comune poter fare un tirocinio traducendo davvero, e per me era importantissimo non finire in un ufficio magari a portare il caffè al traduttore, e avevo capito che qui avrei dovuto mettermi in gioco sul serio”. Un lavoro impegnativo, certo, ma che non ha trovato stressante, e che la ha dato modo, ha spiegato, di capire molte cose sia del mestiere che sul suo modo di rapportarsi agli altri. “Inoltre so che non mi sarei avvicinata all’ebraismo altrimenti, nonostante sia un argomento che già mi incuriosiva, e ho imparato tanto. Mi hanno colpita tantissimo l’attualità di certi passi della Torah, e anche dal lavoro che abbiamo fatto tutte insieme sul Ghetto di Venezia ho appreso cose di cui non avevo mai sentito neppure parlare. E poi il traduttore è un tramite, deve rendere i contenuti che gli sono affidati ma la sua voce dovrebbe restare nascosta, anche se è inevitabile che vengano fatte delle scelta, a partire dal modo in cui di si accosta al testo”. Resta la sua disponibilità a collaborare con la redazione anche nei prossimi mesi, per il piacere di continuare un percorso di scoperta che, come hanno dichiarato anche le sue colleghe, è solo un punto di partenza.
Dal tirocinio verso la tesi
Talmente convinta dall’esperienza fatta da aver deciso di farne oggetto della tesi di laurea, Giulia Castelnovo, siracusana, ha seguito l’istinto e ha deciso di puntare sul tirocinio nell’ambito della redazione giornalistica dell’UCEI immediatamente: “Mi ha colpito la presentazione: avete dedicato a noi ragazzi molto tempo, ed ho avuto la sensazione netta che vi interessasse davvero parlarci, sapere cosa volevamo, cosa potevamo offrire. E non ho avuto torto, perché poi l’esperienza fatta mi ha confermato quella prima sensazione”. L’idea di essere responsabile del proprio lavoro e di dover rendere conto al lettore in prima persona degli eventuali errori, poi, è stato uno stimolo decisivo: “Non avevo avuto praticamente contatti con la cultura ebraica, se non per quel poco che si impara a scuola, e per il fatto di vivere a Trieste, una città in cui l’ebraismo è davvero di casa, ma tradurre testi su argomenti che non conoscevo non mi preoccupava particolarmente, in fondo è parte del mestiere. Mi sono sentita molto sicura e con le spalle coperte perché sapevo di poter chiedere aiuto, e poi, semplicemente, mi sono messa a cercare, e ho studiato le cose che non conoscevo”. A preoccuparla di più, quindi, non la terminologia, ma il senso profondo dei testi: “Ho avuto dei dubbi sui concetti, sulle metafore; mi sono chiesta se avevo chiari i principi etici su cui si basavano le cose che traducevo, ma mi ci sono molto ritrovata. Riflessioni che per me sono state importanti, per nulla scontate, e che sono contenta di aver fatto”. E anche per la tesi, in autunno, tradurrà un testo di argomento ebraico.
Mettersi alla prova, studiando
“Mi piace scrivere, e volevo esplorare un contesto in cui mettermi alla prova, utilizzando le lingue. La curiosità per la cultura ebraica ha fatto il resto, e puntare su questo tirocinio è stato naturale”. Giulia Paris è l’unica triestina fra le cinque studentesse della Scuola per interpreti e traduttori che hanno svolto il loro tirocinio nella redazione giornalistica dell’UCEI. Ed è forse anche l’unica che aveva già avuto qualche contatto con la cultura ebraica: “Un’amica mi aveva avvicinata a questo ambito, raccontandomi qualcosa delle feste e delle tradizioni ebraiche, ma era solo un mondo visto da lontano, e mi ha fatto piacere essere più coinvolta”. Qualche dubbio c’è stato durante il tirocinio, ma si trattava solo di insicurezza, e della volontà di controllare di aver compreso bene i testi che le sono stati affidati, anche chiedendo di confrontarsi con gli autori di quello su cui stava lavorando, e tenendosi sempre il dubbio di non aver reso completamente il senso di una cultura che non le apparteneva. “Qualche volta si è trattato di una questione lessicale, non tutti i vocaboli mi erano noti, ma soprattutto mi preoccupavo di non sapere abbastanza di cosa si stesse parlando, per cui ho letto, studiato, cercato. Del resto come per le mie compagne di avventura si è trattato in pratica della prima esperienza di traduzione autonoma, e anche se magari le altre l’hanno mostrato poco, un po’ di timore di sbagliare sono convinta che l’abbiamo avuto tutte”. E in realtà l’unica cosa che ha trovato davvero complessa, riconosce alla fine, è stato tradurre l’intervista a Umberto Eco
(11 maggio 2016)
(Foto di Giovanni Montenero)