Resistenza
Qualche anno fa mi fu chiesto di iscrivermi, poi addirittura di coordinare l’Anpi nel mio quartiere. Rifiutai, senza pensarci troppo, preso dalle troppe cose da fare. A voler esser bonario nei miei riguardi, potrei affermare – ma sarei forse troppo indulgente – che mi sembrava una scelta da non prendere a cuor leggero. Far parte dell’associazione dei partigiani, assumervi addirittura un ruolo (infimo) di dirigente, ecco una decisione da ponderare con prudenza reverenziale!
E poi, che diritto ne avevo? Tutte le persone che stimo e che frequento sono – non ho dubbi in proposito – consapevoli dei valore assoluto e fondativo delle Resistenza. Quelli più avvertiti intellettualmente sono in grado di formulare una lettura più articolata: contraddizioni, episodi di violenza, guerra civile, errori criminali. Tutto ciò, senza ovviamente indulgere in nessuna forma di revisionismo velato o implicito (la “verità dei vincitori”). Ma allora, dovremmo tutti iscriverci all’Anpi? Oppure per farlo occorre una vocazione più alta e più estesa a questo tipo di militanza?
Se non vogliamo arenarci sulla polemica innescata dalle parole di Maria Elena Boschi, e se vogliamo sottrarre la Resistenza ai retroscena della pagina politica, proviamo a chiarirci le idee: l’Anpi ha tutto il diritto di esprimersi sul referendum costituzionale – e ci mancherebbe… Sono i partigiani che col loro sangue hanno consentito l’elaborazione della Carta. Personalmente, non demonizzo neanche la scelta di sanzionare i dissenzienti: un’organizzazione può scegliere di essere più verticistica, meno aperta al pluralismo interno.
Eppure, una riflessione è necessaria. Qual è il compito dell’Anpi oggi, una realtà con centoventi mila iscritti di cui solo 5000 hanno effettivamente preso la via della montagna? Quali le sue finalità, i suoi confini, mentre nel dibattito pubblico si torna a discutere di una via intitolata a Giorgio Almirante o sui presunti meriti di Benito Mussolini urbanista? Ha senso, ad esempio, che i suoi militanti siano in prima fila ogni 25 aprile, a Roma, con le bandiere palestinesi? O che i vessilli partigiani partecipino a sit in rumorosi e talvolta violenti? E d’altra parte, quali sono le opere intraprese in questi anni (ricerca, tutela della memoria, produzione culturale) più degne di nota e di pubblico riconoscimento e divulgazione?
Voglio essere chiaro. Le mie domande non sono retoriche. L’Anpi è un patrimonio di tutti. Anche di chi, come il sottoscritto, finora non si è sentito degno di iscriversi.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(24 maggio 2016)