Hardal, due anime in una
Il movimento Hardal è in ascesa in Israele. Per chi non fosse familiare col termine, “Hardal” è una crasi di “haredì” e “datì leumì”, cioè nazional religioso, e la parola sta a indicare i cosiddetti “ultra-ortodossi sionisti”, sebbene a me il termine “ultra-ortodossi” non piace a causa dell’accezione negativa che talvolta comporta. Si tratta di una galassia assai sfaccettata composta sia da haredì veri e propri che negli ultimi anni hanno iniziato non solo ad accettare il sionismo (questa non è poi una novità) ma anche a farne un cardine della loro identità, sia da membri del campo nazional- religioso, insomma quelli noti come “datì leumì”, come i Benè Akiva (movimento religioso giovanile), che per una ragione o per l’altra stanno incorporando alcuni elementi della cultura haredì. Ha fatto discutere, nelle scorse settimane, la notizia riportata dalla stampa israeliana secondo cui il numero di scuole “hardal” sarebbe in netto aumento, a discapito delle scuole nazional-religiose. La notizia è stata commentata con un’accezione critica, sia perché le scuole nazional-religiose sono un’eccellenza del sistema scolastico israeliano, sia perché qualcuno teme, e forse non del tutto a torto, che gli istituti “hardal” possano bypassare i regolamenti mantenendo lo stato delle scuole pubbliche. Sul tema specifico delle scuole, la questione non è facile. Ma più in generale si può auspicare che il movimento “hardal” rappresenti un’opportunità per la società israeliana. Un ponte tra due mondi non sempre andati molto d’accordo fra loro, quelli “haredì” e “datì leumì”, che forse può essere un punto di partenza anche per altro.
Anna Momigliano
(24 luglio 2016)