Se l’energia diventa sistema
A chi credesse ancora che l’economia sia soprattutto una questione di numeri e quantità bisognerebbe controbattere da subito che invece è composta essenzialmente da ambienti e relazioni. Da ciò si originano idee, manufatti e scambi. La stessa parola magica “credito”, che si ricollega, in questo caso, al sostegno finanziario dei processi di produzione, implica il credere in qualcosa e in qualcuno, quindi investire in un processo fiduciario che si basa su aspettative, riscontri e reciprocità. Così nel caso di Enel, la multinazionale italiana dell’energia con 61 milioni di clienti e un fatturato di quasi 76 miliardi all’anno. In queste settimane ha deciso di aprire un hub, uno snodo di raccolta, elaborazione e smistamento di merce-informazione, a Tel Aviv, nel Silicon Wadi, il distretto tecnologico della metropoli che “non dorme mai”, dove esistono e operano almeno 1.200 aziende dell’hi-tech. Saranno quindi selezionate una ventina di start-up locali in base al criterio della migliore innovatività nei processi di valorizzazione, diffusione, “efficientamento” e risparmio energetico. Il gruppo farà quindi da partner industriale alle iniziative imprenditoriali più efficaci. Non investirà denaro ma indirizzerà capitali a loro favore, orientandole poi verso sbocchi di mercato profittevoli non solo dal punto di vista economico. L’obiettivo di lungo periodo è il riuscire ad intervenire rispetto a quei mercati potenziali, molto estesi, presenti un diverse parti del mondo, laddove le persone non hanno ancora sufficiente accesso all’energia elettrica. Detto questo, per quale ragione Israele? Intanto perché da una ventina d’anni il paese è diventato un moltiplicatore di redditività degli investimenti nei settori ad alto tasso d’innovazione. Poi perché, seconda la vecchia regola per cui il denaro buono ne attira dell’altro (così come il cattivo lo scaccia), l’area dell’hi tech, che non corrisponde solo alla somma delle aziende ma ad un vero e proprio perimetro di individui in costante relazione, è un concentrato di intelligenze e di eccellenze in perenne riproduzione. La nozione di habitat è capitale a tale riguardo. Si tratta dell’ambiente che permette all’innovazione di autoalimentarsi, creando tuttavia anche strumenti di governo dei processi in atto. Non si tratta solo di produrre energia ma di capire, nel mentre, cosa essa sia divenuta nelle nostre società, legandosi alle loro trasformazioni, sollecitandole ma, in un rapporto di evoluzione continua, venendone essa stessa modificata. L’energia, infatti, è in questo caso essenzialmente una “capacità” dai valori mutevoli e dagli effetti disparati. Conta quindi la fantasia individuale ma affinché essa diventi operativa necessita la cooperazione dei sistemi di rete. Il partenariato e i cofinanziamenti sono quindi due elementi nella responsabilizzazione degli startupper, affinché non si riducano a fare la parte dei cinici broker della speculazione, quelli che vincono al banco e poi spariscono. Un indice significativo, al riguardo è l’età media degli abitanti di Tel Aviv, che si aggira intorno ai 27 anni. Un nuovo mondo, per molti aspetti, e non solo generazionali, sta operando una rivoluzione silenziosa, destinata a cambiare i termini di molte questioni a tutt’oggi aperte perché irrisolvibili con gli abituali, e usurati, strumenti della contrapposizione a prescindere.
Claudio Vercelli, Pagine Ebraiche Agosto 2016
(31 luglio 2016)