In ascolto – La radio
Ci sono canzoni che durano un’estate, altre invece che per svariati motivi accompagnano più generazioni. Quest’anno spegne quaranta candeline uno dei brani più conosciuti di Eugenio Finardi: La radio, inclusa nell’album Sugo del 1976 e ripresa dal cantautore nei decenni successivi, con diversi arrangiamenti. È bella l’idea della versione in stile gruppo vocale del 1990 anche se realizzata con suoni midi, ma è assai più interessante l’originale, in stile country, in cui accanto a Eugenio Finardi troviamo alcuni grandi personaggi del panorama italiano di quegli anni: Ares Tavolazzi, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani, Hugh Bullen e Walter Calloni, che emergono grazie alla casa discografica Cramps e ai concerti con gli Area; Lucio Fabbri, violinista, arrangiatore, direttore d’orchestra e polistrumentista, una delle figure chiave nella storia della musica leggera italiana. Lo ricordiamo soprattutto con la PFM e con Fabrizio De Andrè, ma in realtà l’elenco delle sue collaborazioni è infinito e contempla tanto gli italiani (di ieri e di oggi), da Alberto Fortis e Fiorella Mannoia fino a Mika e Marco Mengoni, quanto gli stranieri illustri come Al Jarreau, Dee Dee Bridgewater e Demis Rousseau. E infine nel brano di Finardi del 1976 ascoltiamo un giovane chitarrista che emerge nello stesso ambiente negli stessi anni e che nel 1981 avrebbe accompagnato l’estate degli italiani con il tormentone Rock ‘n roll robot. Si tratta di Alberto Camerini, personaggio dal look eccentrico, un musicista eclettico che ama l’opera, i suoni elettronici, il rock ‘n roll e la musica del ‘700. Il suo lavoro di ricerca sulle canzoni da battello di Venezia (1730-1740) lo ha portato a creare uno spettacolo in cui, accompagnato da un quartetto d’archi, canta come Arlecchino spiegando: “All’epoca andavano di moda i castrati e le voci tenorili, mentre Arlecchino era un asinaccio e cantava da basso, come faccio io nello spettacolo”. Alberto Camerini, a lungo definito l’Arlecchino della musica italiana, è nato nel 1951 a San Paolo (Brasile) in una famiglia ebraica fuggita dall’Italia nel 1938 a seguito della promulgazione delle leggi razziali. Racconta di aver avuto un’infanzia serena, ricorda la presenza forte della nonna Livia, poetessa e insegnante presso la scuola italiana. Nel 1962 il papà riceve un’offerta di lavoro a Milano e i Camerini rientrano in Italia. Alberto frequenta la scuola ebraica: “Ricordo come compagni di classe bambini che venivano dal nord Africa, tutti ebrei espulsi, si studiava un’ora di ebraico al giorno, oltre alle altre materie; ho avuto ottimi insegnanti. Finite le scuole medie mia madre, figlia di uno scultore, nel 1965 decise di iscrivermi al liceo classico Beccaria di Milano. Imparai a suonare la chitarra grazie a Roberto Colombo, oggi apprezzatissimo musicista e produttore, fu lui ad avere l’idea di fondare la nostra prima band, i Sound. Nell’estate 1968, a 17 anni, andai in America da mio zio, docente universitario negli States, e da un cugino ebreo Fabio Cohen, libraio e collezionista d’arte, anch’egli ebreo espulso dal fascismo. Il secondo giorno con metà dei soldi che mio padre mi aveva dato per stare negli States tre mesi, comprai una chitarra usata in un negozio di New York sulla 42esima, era la chitarra di Zal Yanovsky”.
Quello stesso Zal Yanovski che per un po’ visse in un kibbutz in Israele, forse perché papà si chiamava Avrom ed era nato in Ucraina… ma questa è un’altra storia.
Consiglio d’ascolto:
Maria Teresa Milano
(6 ottobre 2016)