5777 – Un anno per il futuro

schermata-2016-10-10-alle-10-36-17“Ke Rachem Av al banim richam A’ al jereav” – Come un padre usa bontà per i suoi figli, così il Signore usa bontà per coloro che lo temono. È per questo motivo che, proprio nei giorni di teshuvah, ci rivolgiamo a Lui con l’espressione “Avinu Malkenu”, Padre Nostro. Nelle preghiere di Kippur, vi è una supplica che suona con le parole: “Ki anu ammekhà ve attà Elohenu, Anu banekha ve attà avinu, Anu avadekha ve attà adonenu, Anu zonekhà veattà roenu, Anu azè panim veattà El rachum ve channun” – Poiché noi siamo il Tuo popolo, Tu sei nostro D-o, noi siamo Tuoi figli e Tu nostro padre, noi siamo i Tuoi servi e Tu il nostro padrone, noi siamo il Tuo gregge e Tu il nostro pastore, noi siamo sfrontati e Tu sei pietoso e misericordioso. Tutto ciò per indicare la nostra estrema sottomissione a D-o, riconoscendo in Lui non solo il nostro Creatore, quindi il nostro giudice eterno, ma anche un padre che sa riprendere e allo stesso tempo comprendere il comportamento dei propri figli, perdonandoli se essi si ravvedono.
Nelle parashot che abbiamo letto in questi ultimi tre sabati, soprattutto lo scorso shabbat, troviamo parole di ammonimento di Mosè prima di morire, come un padre che sul letto di morte ammonisce i propri figli, sapendo anche infondere loro speranze di una vita buona, se essi sapranno comportarsi bene.
La teshuvah che da oggi abbiamo il dovere di iniziare a mettere in pratica, non è un qualcosa di astratto, di filosofico, ma è formata da concetti estremamente materiali; Maimonide, nel suo hilkhot teshuvah, insegna che per fare teshuvah, bisogna adempiere a tre azioni: abbandono del comportamento trasgressivo, confessione – quindi presa di coscienza del proprio operato – e proponimenti per il futuro.
L’abbandono della averah (la trasgressione) deve essere fatto con coscienza e allenamento: non si può lasciare un atteggiamento con cui abbiamo per molto tempo convissuto, senza sentirne la nostalgia. I Maestri sostengono che questo può avvenire soltanto attraverso l’osservanza delle mizvot come la shemirat shabbat, la kasherut e la zedakah; mizvot che accompagnano la vita di un ebreo quotidianamente e che contribuiscono all’identità ebraica, distinguendoci come tali. Esse contribuiscono all’abbandono della trasgressione.
Il viddui (la confessione), non è altro che la presa di coscienza del nostro atteggiamento errato e la promessa di iniziare un percorso di riconciliazione con noi stessi, con il nostro prossimo e quindi con l’Eterno.
Infine, il proponimento di fare il bene nel futuro: sono l’azione e i fatti che dimostrano la vita ebraica.
Possa il Signore D-o perdonare tutto il nostro popolo e renderci meritevoli di osservare tutte le mizvot.
Ketivà va chatimà tovà

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

(10 ottobre 2016)