Inge, memorie da Terezin

20161013_184305Inge Auerbacher aveva appena sette anni quando la deportarono, insieme ai suoi genitori, nel ghetto di Terezin, la cittadina fortificata della Repubblica Ceca dove furono imprigionati oltre centoquarantamila ebrei, tra cui circa quindicimila bambini.
Ebrea tedesca, nata in Germania nel 1934 a Kippenheim, un paesino vicino la foresta nera, Inge ha la grinta di una ragazza, un piglio vivace con il quale ieri ha portato la sua testimonianza agli studenti del Master internazionale in Didattica della Shoah dell’Università Roma Tre. L’incontro si è svolto nella sala conferenze della Fondazione Museo della Shoah, presso la Casina dei Vallati, con la collaborazione delle associazioni Trauma and Memory, Europa Ricerca e della fondazione Terzo Pilastro.
L’intervento, introdotto da David Meghnagi, assessore alla Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore del Master, era supportato da una straordinaria documentazione, costituita da foto di famiglia, documenti e immagini rare, che la Auerbacher ha raccolto in decenni di lavoro sulla Memoria.
“Terezin era l’anticamera dell’inferno – ha detto Meghnagi – le persone morivano per le terribili condizioni di vita, oppure nei campi di sterminio, dove venivano trasportate regolarmente, per essere poi rimpiazzate con altri prigionieri. La storia di quel campo la possiamo ricostruire, oggi, anche grazie a testimonianze come quella della Auerbacher, che da vittima ha fatto un passaggio fondamentale: è diventata Testimone”.
La Auerbacher sopravvisse, e fu doppiamente fortunata, perché sopravvissero anche i suoi genitori, mentre circa venti membri della sua famiglia, tra cui i suoi nonni, persero la vita nella Shoah.
“La nostra vita cambiò nel 1938, con le violenze naziste della notte dei cristalli: di lì la situazione precipitò. La nostra era una famiglia facoltosa, mio padre, imprenditore tessile, provò in tutti i modi a portarci all’estero, negli Stati Uniti, dove viveva uno zio, o in Brasile, dove erano emigrate alcune cugine. Ma le porte per gli ebrei erano chiuse. Mio padre inizialmente fu trattato con un certo riguardo, in quanto veterano della Prima guerra mondiale, insignito della croce di ferro. Ma per mio nonno non ci fu nulla da fare, fu deportato e morì a Dachau, mentre mia nonna fu trasferita a Riga, dove fu assassinata. Infine anche noi, nel 1942, fummo presi e condotti a Terezin. Per tre lunghi anni vivemmo in quel luogo orribile, stretti con decina di migliaia di persone, soffrendo la fame, dormendo tra ratti e scarafaggi.”
Il ghetto di Terezin, dove furono internati anche molti artisti e intellettuali ebrei la cui sparizione nel nulla avrebbe creato un eccessivo clamore, aveva il duplice scopo di fungere da anticamera della deportazione, e di nascondere al mondo libero il fatto che la comunità ebraica europea fosse in procinto di essere sterminata, esibendo la cittadina quale “insediamento modello” degli ebrei, permettendo visite della Croce Rossa e producendo filmati di propaganda.
“Vivevamo con il terrore costante di essere trasferiti nei campi in Polonia. La mia salute vacillava, per diversi mesi rimasi nella sorta di ospedale allestito nel ghetto, proprio nel periodo in cui venne l’ispezione della Croce Rossa. Fummo liberati dai sovietici, l’8 maggio del 1945. Dopo alcuni mesi ci trasferimmo negli Stati Uniti. Sul finire della detenzione mi ammalai di tubercolosi, fui costretta a curarmi per due anni.”
Una volta adulta Inge ha intrapreso la carriera di chimico e ha condotto una vita nell’ombra. Solo dopo molti decenni ha scelto di testimoniare, tenendo conferenze in giro per il mondo e scrivendo libri, il più famoso dei quali, pubblicato anche in Italia per Bompiani, è “Io sono una stella”. Per le sue opere, e per il suo impegno per la Memoria, ha ricevuto onorificenze negli Stati Uniti e all’estero.
“Non si può odiare per sempre”, ha detto in chiusura agli studenti. “Dicendo ‘mai più’, ricordando quanto accaduto e lavorando per conservare la Memoria, noi ci impegniamo per il bene delle generazioni future.”

Marco Di Porto

(14 ottobre 2016)