mondo social – WhatsApp, rabbia e rancori

socialPer molti decenni il conflitto nella scuola è stato tra studenti e insegnanti, tra la giovinezza e l’autorità, tra il desiderio fisiologico di libertà e il richiamo all’ordine, al dovere, alla responsabilità. Pinocchio contro la scuola, la spensieratezza contro la pesantezza. Poi, negli Anni 70, questo contrasto generazionale ha preso una dimensione politica. Gli studenti sentivano di incarnare istanze rivoluzionarie, di essere protagonisti di un mondo nuovo e percepivano gli insegnanti come difensori dell’ordine costituito, della conservazione, di un passato ingiusto e decrepito.
Ma anche questo periodo è ormai finito, oggi viviamo nell’epoca della competizione, della lotta durissima per emergere dalla palude. E così il conflitto ha cambiato gli schieramenti: oggi da una parte della barricata ci sono gli insegnanti e dall’altra i genitori, che pretendono per i loro figlioli trattamenti di riguardo, ottimi voti, medaglie che scintilleranno fuori della scuola, nel mercato del lavoro. I genitori intuiscono che la selezione sarà feroce e dunque cercano in ogni modo di proteggere i loro ragazzi, di far guadagnare loro crediti e punteggi buoni da spendere più avanti.
Chi parte male rischia di finire peggio. Così gli insegnanti vengono pressati, a volte criticati o addirittura contestati. E la piazza della ribellione è WhatsApp, un mezzo che doveva unire, favorire gli scambi, allargare l’informazione e che invece diventa la cassa di risonanza di un risentimento incontrollato. Madri e padri si fomentano reciprocamente, la palla che rotola in breve diventa una valanga, il primo disappunto si trasforma in rancorosa ostilità verso l’insegnante che mette voti troppo bassi o che non sta svolgendo il programma così come i genitori pretendono.
WhatsApp diventa una sorta di portineria fiammeggiante di pettegolezzi e irritazioni. La professoressa severa viene additata come un’isterica, il professore benevolo come un mollusco, un perdigiorno. Sembra che ogni forma di collaborazione tra il corpo docente e le famiglie venga meno. Un tempo l’intesa era garantita, il padre ascoltava in silenzio i giudizi negativi dell’insegnante e a casa caricava di rimproveri il figlio lavativo. Oggi non più, oggi su WhatsApp si intrecciano i commenti crudeli contro l’insegnante che non esalta il valore, spesso assai ben nascosto, quasi invisibile, dello studente. WhatsApp diventa un’arena infuocata, una raccolta di malumori che rasentano l’invettiva.Capita anche che si creino partiti opposti, scambi di opinioni tra difensori e attaccanti che iniziano garbatamente e in breve si trasformano in litigi pesanti. Il fondamento è sempre lo stesso: la speranza o la pretesa che i propri figli siano spinti verso un futuro radioso. E allora l’insegnante che impone troppi compiti viene visto come un massacratore, quello che ne assegna troppo pochi come un sabotatore. Lo scontro su WhatsApp non conosce tregua, ogni giorno può venir fuori una nuova questione, una rogna da grattare a sangue. Sembra che i genitori, direi soprattutto quelli che hanno i figli nei migliori licei della città, siano perennemente collegati e non riposino mai. Hanno investito tanto, tutto, sui loro figli e adesso non possono sopportare che un professorucolo di greco o di matematica si metta di traverso per impedire la marcia trionfale verso un avvenire vincente.
Su WhatsApp i genitori si preparano ai ricorsi, qualora i risultati siano pessimi. Si caricano, imbufaliscono. Tutti uniti contro il prof che pretende troppo, che non sta al posto suo, che non si allinea alle richieste delle famiglie. WhatsApp è l’accolita dei rancorosi, la grancassa delle speranze deluse che batte forte contro l’indipendenza degli insegnanti, contro ogni sgradevole verità.

Marco Lodoli per Repubblica.it

(14 ottobre 2016)