Ticketless – Tengo famiglia
Gli articoli pubblicati in morte di Dario Fo hanno messo a nudo le nostre oscillazioni sui “ragazzi di Salò”. Alcuni personaggi, tra i quali il nostro, hanno goduto di una speciale deroga nella damnatio memoriae. Sono stati perdonati per aver aderito alla Repubblica sociale come se niente fosse accaduto. Più che perdono si è trattato di oblio complice: tacere, sopire, per tornare sul suo gramelot e ridere tranquilli, invece che ritrarsi davanti alle ombre dei carnefici. Intervistatori reticenti, biografi pigri si sono impegnati con tutte le loro forze per sorvolare su questo che non è stato un piccolo dettaglio nella biografia del Premio Nobel. Stupisce questo silenzio davanti al rigore spietato applicato ad altri, contro i quali vi è stato un vero accanimento, che non ha riconosciuto a ragazzini quattordicenni, orfani di un padre caduto in guerra nel 1941-1942, nemmeno l’attenuante dell’età o un’ombra di pietas. Con Dario Fo bocche cucite. Da quel poco che è trapelato – la ricostruzione fa acqua da tutte le parti – avrebbe aderito per ragioni private, una sorta di “tengo famiglia”, un pasticcio senza sostanza che sembra uscito dal teatro del grottesco e getta un’ombra fosca su molta parte della sua arte del comico.
Alberto Cavaglion
(19 ottobre 2016)