Pagine Ebraiche a Lucca
La cultura del fumetto
Si avvia alla conclusione l’edizione gold di Lucca Comics and Games, il grande festival del fumetto che è arrivato alla sua cinquantesima edizione. Dopo il tutto esaurito di domenica, con 80 mila biglietti venduti gli organizzatori si preparano in queste ore a fare il bilancio di un’edizione più ricca che mai. L’allargamento degli spazi, che ha modificato radicalmente la distribuzione dei padiglioni già da qualche anno e che ha permesso all’enorme afflusso di pubblico di non intasare completamente il centro storico, come avveniva sino a qualche edizione fa, si è mostrata anche in questa edizione l’arma vincente di un festival che ha avuto il coraggio di ripensare completamente la propria struttura. Dopo la presentazione della settima edizione del dossier Comics&Jews, avvenuta il primo giorno della manifestazione con la presenza dei responsabili dei due principali eventi italiani dedicati al fumetto – Giovanni Russo per Lucca Comics e Emilio Varrà per BilBOlBul – la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha continuato il suo lavoro, iniziando da subito a raccogliere spunti per i prossimi appuntamenti, a partire da Bologna, a fine novembre, per poi dirigere ad Angoulême e Lucerna, dove si terranno i primi appuntamenti del 2017. Il dossier Comics&Jews curato da Ada Treves, intanto, continua a essere distribuito tra gli stand, alle biglietterie e agli infopoint, portando fra gli appassionati il valore aggiunto della cultura e delle tradizioni dell’ebraismo. Dal dossier riproponiamo qui l’articolo dedicato agli ultimi libri di Joann Sfar, con Robert Crumb uno degli autori più amati.
Quando l’unico nemico che resta sei tu
Ha incantato tutti imprimendo sul foglio, con la matita costantemente in mano, ogni palpitazione dell’animo e del destino ebraico. Dal celebre Gatto del rabbino ai tortuosi itinerari degli ebrei del Mediterraneo, da Chagall a Serge Gainsbourg, l’ondata travolgente di creatività e di fantasia che Joan Sfar ha riversato nei nostri occhi non ha probabilmente termini di paragone con il lavoro di altri artisti suoi contemporanei. A 45 anni ha messo in circolazione oltre 150 opere, conquistando milioni di lettori (un volume del celeberrimo Gatto del rabbino in patria si calcoli raggiunga le 300 mila copie).
E il lavoro di disegnare mai prima di lui aveva mostrato quella trasversalità che tocca tutte le forme di creazione, dal fumetto al racconto, dal cinema alla pittura alla musica.
Oggi l’indomabile vena creativa di Joan Sfar continua a riversare tavole su tavole di grande arte, ma la sua attenzione, senza timore di deludere qualcuno dei suoi innumerevoli estimatori, sembra distolta da altri pensieri. Qualcosa di più intimo, di più personale, forse anche di più oscuro caratterizza le ultime fiammate nella produzione di un artista vulcanico, che ci aveva abituati a numerose novità editoriali sparate in libreria al ritmo della mitragliatrice.
Chi ama Sfar deve ora fare i conti con l’ultimo volume dei suoi celebri carnet (Si j’etais une femme, je m’epouserais, Se fossi una donna, mi sposerei) e ancora con qualcosa di assolutamente nuovo per Sfar, un libro di memorie fatto di sole parole che non porta alcun segno dell’arte figurativa, e di fronte al quale l’autore si presenta disarmato di quella matita forte e sottile, sempre nervosa, che fino ad oggi si era dimostrata lo strumento ideale per uscire dal vortice di idee e di pensieri senza esserne travolti e affogati.
Il punto di partenza questa volta è diverso. Non l’avventura, non l’ignoto che sta fuori di noi. Nel caso dell’ultimo carnet, ancora una volta affollato da appunti in forma di disegno, assommando stili e tratti diversi, dall’inchiostro al carboncino con un’immediatezza e una maestria di cui si conoscono pochi termini di paragone, tutto si muove attorno ai sei mesi di psicanalisi che Sfar racconta di aver recentemente affrontato per sopportare la perdita di una donna amata, per guarire da senso di privazione che rischia di sopraffarlo.
Delle due vie d’uscita possibili per lui, la sinagoga o la psicanalisi, finisce per prevalere la seconda ipotesi, e l’autore, che non è nuovo al racconto vivido e palpitante di passioni anche in altre prove smaglianti, questa volta sottopone se stesso senza alcun pudore. Il lettore è invitato nella sua intimità, a volte emozionante, a volte commovente, a volte contagiosa di eccitazione. Incredibile e incantevole anche l’apparizione attraverso le pagine dei personaggi di Sfar, che lo accompagnano nell’itinerario della propria disperazione e infine alla riconquista di un sofferto equilibrio.
Una lettura forte, emozionante, che corre però il rischio di deludere qualcuno. Quello che lo stesso Sfar aveva sempre assicurato al lettore: “Io cammino su due piedi, la fantasia e l’autobiografia”, questa volta diviene in effetti un incedere asimmetrico e meno sovrano del racconto.
Il prezzo di far cadere ogni pudore, di mettere il lettore a parte di ogni più intimo pensiero, paradossalmente rischia di spogliare il mondo delle emozioni e di scolorirlo. Ma al di là di pagine comunque indimenticabili, resta comunque in ogni angolo di questo immenso zibaldone di appunti e di ragionamenti la grande arte di Sfar, che qui si esprime con tecniche e segni estremamente diversi nel tratto e accomunati solo dall’immediatezza dell’espressione geniale.
Qualcosa di meno politico e di meno universale, ma forse egualmente coinvolgente, nell’esperienza dello stargli accanto pagina dopo pagina. Altra prova difficile e nuova, per il lettore che a Sfar non vuole rinunciare, il libro di memorie, o forse lo si può definire un romanzo, una prova letteraria, che a sua volta segna il desiderio di cambiare, di aprire nuovi orizzonti. In questo caso si tratta di un omaggio al padre dell’autore, della necessità di raccontare la sua morte e il grande vuoto che ha lasciato nella sua vita. Orfano di madre da quando aveva tre anni, è ben comprensibile che la figura del padre avesse per lui un peso enorme. Eppure Sfar nei 26 capitoli di questo libro fuori dal comune riesce ancora a sorprendere, quasi a disorientare chi ha deciso di seguirlo sui nuovi sentieri della letteratura. Un’occasione appassionante di entrare nel mondo del padre André, avvocato, ebreo esule dal Nord Africa e gran personaggio della vita nizzarda. Deposta la matita resta solo una bella prosa, l’occasione di capire meglio le fratture e gli scoppi di luce degli ebrei del Mediterraneo, ma manca l’iperbole del disegno. Per una volta, nel bene e nel male, Sfar è come tutti noi. Diventa grande, invecchia, perde il padre e infine dice a se stesso: “Sembra che essere adulti sia proprio questo: tuo padre muore e non ti restano altri nemici, al di fuori di te stesso”.
Guido Vitale, dal dossier Comics&Jews
Pagine Ebraiche, novembre 2016
(1° novembre 2016)