Varsavia…

L’occasione di un congresso rabbinico internazionale è sempre un momento di grande crescita, confronto, riflessione e nuova energia per chi fa il mio mestiere. L’occasione di un congresso rabbinico internazionale a Varsavia è anche fonte di grandi emozioni, stimoli, traumi e commozioni per chi è come me un ebreo nato e cresciuto in una Europa dove la “parola” Varsavia evoca specifiche immagini di dolore, di fame, di persecuzione, di sterminio e di antisemitismo.
Eppure domenica, lunedì e martedì scorso sono stato ospite della comunità ebraica di Varsavia, ho pregato nella sua sinagoga ortodossa, ho riso con altri sessanta rabbini d’europa e di Israele ed ho mangiato in tutti e tre i suoi ristoranti casher.
Eppure lunedì scorso la presidente della comunità di Varsavia, giovane donna di quarant’anni, ci ha raccontato della rinascita ebraica in Polonia, dell’alba dopo il buio assoluto, della gioia di due o tremila iscritti della comunità dopo la distruzione di più di trecentocinquantamila ebrei rinchiusi nel famigerato ghetto tra il 1940 ed il 1943, quando le SS dichiararono il ghetto “liquidato”.
Ogni gesto ebraico, dopo cosi tanto e drammatico buio, è figlio di tenacia ed entusiasmo, di energie incredibilmente positive, di luci accesse in stanze buie, di candele al vento che non resistono al vento, ma addirittura ne cambiano il suo stesso soffiare.
Torno da Varsavia con occhi pieni di dolore per strade che non esistono più, luoghi millenari che non hanno più un luogo, persone che non hanno più destino né voce. Ma torno anche con un entusiasmo ebraico per se stesso e in nome di se stesso che difficilmente trovo nell’ebraismo europeo d’occidente, dove spesso lo sguardo al passato non costringe al confronto con un buio come quello di Varsavia, ma dove una sorta di decantismo identiario porta sospiri, tensioni, paure e rimpianti per ciò che fummo e che non torneremo ad essere. A Varsavia non si potrà mai tornare ad essere ciò che fummo e questa terribile consapevolezza è fonte di futuro, di impegno per il futuro e progetto per il futuro. Altrove il ciò che fummo non potrà mai più tornare ad essere, ma questo non si trasforma in fonte di impegno e di entusiasmo per il domani, quanto piuttosto in tetra sconfitta per un futuro.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(11 novembre 2016)