…America
La vittoria di Trump ha fatto la felicità di tutti coloro che hanno apprezzato le sue parole in favore di Israele e la promessa di riconoscere in Gerusalemme la Capitale dello Stato ebraico. La vittoria di Trump ha deluso tutti coloro che non hanno apprezzato i suoi accenti antisemiti con il dito puntato su personalità ebraiche del mondo finanziario e culturale, nella miglior tradizione della propaganda antisemita. Mentre, dunque, c’è chi spera in un rafforzamento del legame fra l’attuale politica di Israele e l’America, c’è chi teme che l’antisemitismo, e il razzismo tout court, stia trovando negli Stati Uniti un alibi pericoloso in parole che Trump ha pronunciato chiare e forti nei suoi comizi elettorali. La stampa, non solo americana, sta riportando un crescendo di incidenti e situazioni che non fanno sperare bene per la convivenza civile in America. Certo, agli israeliani l’antisemitismo in America può interessare relativamente, ma forse, allora, agli ebrei americani potrà venir meno un po’ del loro entusiasmo in favore della causa israeliana, se questo non coesisterà più con le garanzie per la loro stessa sicurezza. Trump, insomma, sembra essere riuscito con poco sforzo a tracciare un solco fra Israele e l’ebraismo più numeroso e significante della diaspora. Ne vedremo delle belle. Ma non c’e nulla di divertente in tutto ciò.
Rimane solo da vedere se Trump, che non è stato finora un campione di coerenza, manterrà la linea proclamata e le promesse e le minacce fatte in campagna elettorale. Quel che è certo è che il danno da lui fatto alla causa della convivenza civile sarà difficilmente riparabile. E gli ebrei americani non sono affatto tranquilli. Sarebbe curioso se l’unico effetto delle sue esternazioni fosse la loro emigrazione dal paese più democratico del mondo. Non ce lo auguriamo proprio. Ma chi l’avrebbe mai pensato che potesse venire mai il momento di porsi interrogativi di questo genere?
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia
(15 novembre 2016)