Usa, gli estremisti da scaricare
“Come si può essere antisemiti e filo-israeliani allo stesso tempo?”. Si domanda Naomi Zeveloff sul Jewish Forward in riferimento alla nomina di Steve Bannon come consigliere alla Casa Bianca proposta dal neopresidente degli USA Donald Trump. Bannon è stato definito da numerosi media come antisemita e xenofobo – tra cui dall’Antidefamation League – e contemporaneamente è presidente esecutivo del portale Breitbart News, nato come filo-israeliano, e diventato secondo l’ex redattore Ben Shapiro, proprio con l’arrivo di Bannon uno dei principali siti promotori di idee appartenenti all’alt-right. Ovvero una corrente di estrema destra che incorpora sentimenti suprematisti bianchi, etnonazionalisti, omofobi, misogini e cospirazionisti, e che naturalmente ha appoggiato la candidatura di Donald Trump. Non c’è bisogno comunque di scomodare l’alt-right per comprendere il fenomeno, anche in Europa molti partiti emergenti di estrema destra, considerati genericamente “populisti”, non di rado hanno espresso la propria simpatia verso Israele, ma al loro interno non manca chi ha idee, o un trascorso politico, vicine al neo-nazismo e all’antisemitismo.
Israele viene sovente percepita erroneamente da tali gruppi come una frontiera dell’Occidente nazionalista e anti-islamico. Parte dell’America di Donald Trump, la quale ha tra i suoi sostenitori il Ku Klux Klan e vari movimenti neo-nazisti, sembrerebbe conformarsi a questa linea controversa. Alcuni di essi, scrive Zeveloff, vedono nell’immigrazione ebraica verso Israele un incentivo nell’attuazione del loro sogno di avere un’America bianca, e quindi anche libera dagli ebrei. Soprattutto quegli ebrei liberali non allineati verso certe tendenze conservatrici, i quali costituirebbero un probabile ostacolo alla realizzazione di questo ideale. Tanto che il conservatore David Horowitz, intervenuto a difesa di Bannon, e lo stesso canale Breitbart, sono soliti definire questi ultimi “renegade jews”. In altre parole, come ha scritto la Professoressa Yael Sternhell dell’Università di Tel Aviv: “Finché gli ebrei combattono contro gli arabi e rappresentano un bastione degli ideali americani in Medio Oriente restano alleati molto utili e da ammirare. Vengono considerati pericolosi, quando invece chiedono che gli Stati Uniti siano una società multiculturale e pretendono spazio per la loro religione”. Una sorta di antisemitismo che opera distinzioni politiche dunque. Più in generale questa anomalia potrebbe ricordare anche le parole di Daniel Balint, il neo-nazista protagonista di The Believer, quando nel film sostiene che “il problema non sono gli ebrei che vivono in Israele, i quali nonostante tutto hanno un proprio stato nazionale, quanto gli ebrei che continuano a vivere nella Diaspora”.
Non voglio con ciò comparare Balint con Trump, con molta probabilità Trump non è né un filonazista e né un antisemita, il suo sostegno a Israele sembra sincero e nella sua cerchia ci sono vari personaggi appartenenti all’Ebraismo – come del resto in tutte le altre passate amministrazioni -. Resta il dato concreto che della galassia che ruota intorno al neopresidente non si può sostenere lo stesso, così come sono una realtà le affermazioni antisemite tra i suoi supporters sul web e gli attacchi intimidatori che molti ebrei, tra cui gli stessi giornalisti del Forward, hanno subito negli USA negli ultimi giorni. Infine, come alcuni rabbini non hanno esitato a dichiarare, rimane comunque difficile coniugare l’ideologia reazionaria dell’alt-right e movimenti analoghi, con gran parte dei valori insiti nell’etica e nella storia ebraica, secolare o religiosa, diasporica o israeliana. Con ciò mi auguro quindi che l’amministrazione di Donald Trump, spinta e motivata anche da Israele e dalla sua amicizia, condanni al più presto e pubblicamente tali ideologie, antitetiche altresì alla storia e alla cultura nordamericana, nonché pericolose per il buon vivere del paese che da sempre è garanzia di uguaglianza e democrazia in tutto il mondo.
Francesco Moises Bassano
(18 novembre 2016)