Un treno carico di musica
Il treno è uno dei simboli più forti della fenomenologia deportatoria della Seconda Guerra Mondiale; a partire dal 1943, l’Europa balcanica e centrale (dalla Francia occupata al Protettorato di Boemia e Moravia) divenne un reticolato di linee ferroviarie dedicate che trasportavano migliaia di deportati dai Campi di transito a quelli di sterminio presso il Governatorato Generale della Polonia occupata.
Figuriamoci se ebrei e Roma, popoli musicali per eccellenza, si sarebbero fatti sfuggire l’occasione per creare musica persino nei treni, pur stipati in modo assurdo e con gravi problemi di idratazione, respirazione, privacy per bisogni fisiologici, inenarrabile disagio umanitario.
Čaj kamau tu, affascinante canto dei Roma Burgenland–Lovara dal ritmo molto “ferroviario”, prese corpo (e accompagnamento musicale) presso il Zigeunerlager di Birkenau ma fu concepito nei treni; in alcune melodie in lingua Romanì il cantante piange la deportazione sua e dei suoi cari tanto quanto, con velenosa ironia, dice di non veder l’ora di arrivare al Lager e si lamenta del treno (la macinè di numerosi canti dei Roma) che sferraglia sui binari troppo lentamente…
Abbiamo perduto (forse per sempre) la melodia originale degli ebrei di Salonicco che nel loro tipico ladino intonavano sui treni Siete dias encerrados (messa in musica ex novo dopo la Guerra), sul treno per Birkenau il fisarmonicista ebreo greco Chaim Refael concepisce (in tipico italiano corfiota) lo struggente Cun le catene ai pedi; donne italiane partite da Fossoli crearono sui treni per la Germania lunghi canti strofici, Mara Montuoro creò riuscite parodie mentre era ancora sul treno che dal carcere milanese di San Vittore portava a Ravensbrück via Brennero.
La situazione nei treni di trasporto dei prigionieri di guerra francesi era indubbiamente migliore, gli ufficiali sedevano su panchine di legno e disponevano di un precario servizio caffè; sul tavolino di uno di questi treni il compositore francese René Herbin (pianista dalle mani enormi, morì l’1 settembre 1953 con il grande violinista Jacques Thibaud nell’incidente aereo dell’Air France 178 diretto a Saigon e precipitato sulle Alpi di Provenza) stese il suo Album d’Images per pianoforte.
Cantare non è necessariamente un’attività artistica ma è altresì un moto inarrestabile dell’uomo, soprattutto quando soffre; in quei momenti di canto (solitario o collettivo) il treno “entra” nella stazione dell’anima ossia nella musica, il dolore si fa musicalmente intenso senza mediazione e il canto diviene espressione dello stato di abbandono provato da uomini, donne e bambini stipati in vagoni.
Ebrei e Roma sono i popoli più “europei” d’Europa e, come un treno, hanno realmente collegato città, luoghi e spazi geograficamente e culturalmente distanti; Madrid e Budapest non avevano nulla in comune ma avevano entrambi il musicista Rom che suonava sotto casa, nazioni slavofone e germanofone non avevano nulla in comune (i loro confini sono stati causa di guerre) eppure, dal Mar Baltico al Mar Nero si poteva parlare e cantare in un’unica grande lingua, lo yiddish.
Ebrei e Roma ci hanno consegnato dai treni inestimabili gioielli musicali; 262 i canti “ferroviari” sinora catalogati nell’archivio dell’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria di Barletta.
Non c’è un treno che porti dall’Europa a Israele, il grande sogno della ferrovia transcontinentale da Parigi al Cairo via Monaco, Vienna, Budapest, Belgrado, Sofia, Istanbul e Jaffa naufragò nella notte dei tempi per contenziosi legati a Canale di Suez, presenza ottomana nell’area, lotte nei Balcani; il Reich sognò treni che giungessero dall’Africa settentrionale e dal Bosforo (previo accordo con la Turchia) e deportassero il popolo ebraico nella sua stessa terra.
Il piano fallì dopo la disfatta di Rommel nella Seconda Campagna Africana e anche perché la Turchia, pur appoggiando Hitler, rimase sostanzialmente neutrale durante il conflitto; eppure un treno carico di musica partì dal cuore dell’Europa e, come nel film Train de vie di Radu Mihăileanu, portò in salvo ebrei e Roma oltre un immaginario confine dove poter vivere e cantare felici.
Perché la musica, come ben scrisse a Sachsenhausen il compositore polacco Leonard Krasnodebski nel suo Chorał z piekła dna, è uno spontaneo gesto umano che vale per sempre.
Francesco Lotoro
(21 dicembre 2016)