La musica vive nell’aria
Chi condusse la rivolta dell’ottobre 1943 nel Campo di sterminio di Sobibór, ordinando di squarciare i reticolati e facendo fuggire i deportati oltre il campo minato che circondava il Lager?
Il musicista ebreo ucraino Alexandr Aronovič Pečerskij detto Saša, ufficiale dell’Armata Rossa che portò in salvo quasi la metà dei deportati evasi, umiliando le SS che a fine 1943 decisero di chiudere Sobibór (nel 1987 il regista Jack Gold produsse il film Fuga da Sobibór sull’impresa di Pečerskij).
Chi nel giugno 1945 si mise a capo degli ex deportati di Theresienstadt bloccati nella cittadella asburgica in attesa di rimpatrio e li condusse presso il Municipio di Praga affinché l’allora capitale cecoslovacca se ne facesse carico?
Il pianista e musicologo ceco Vaclav Holzknecht, docente presso il Conservatorio di Praga e nel 1957 presidente del celebre festival Primavera di Praga.
Chi inviò fuori dal Lager di Sachsenhausen messaggi su cartoline nelle quali alcune sillabe erano appositamente scritte in tedesco errato, rivelando in piena guerra esperimenti medici sul vaiolo compiuti sui detenuti politici nonché la sorte riservata a ebrei e prigionieri di guerra sovietici?
Il cantante e compositore polacco Aleksander Kulisiewicz che immagazzinò nel cervello 770 canzoni create dai suoi compagni di deportazione ripetendole sottovoce tra le labbra per non dimenticarle; sarebbe impazzito se un infermiere non si fosse messo al suo fianco durante la convalescenza dopo la liberazione e non gli avesse “svuotato” la memoria fissando sulla carta musica e testi.
La musica, non il musicista, vive nell’aria; chi fa musica è strenuamente legato mani e piedi alla terra saggiandone continuamente vicissitudini, ingiustizie, desideri sino a quando compie una mirabile sintesi elevando tutto a forma, suono, arte, letteratura.
Il musicista era, è e sarà sempre in prima linea nei più tragici eventi della storia a perenne difesa di irrinunciabili valori morali e sociali.
Pablo Casals che dal 1936 al 1939 girò instancabilmente attraverso la Spagna lacerata dalla Guerra Civile suonando il suo mitico violoncello, Mstislav Rostropovič che l’11 novembre 1989 suonò Bach sotto il Muro di Berlino mentre si disgregava, i coristi di Mauthausen che dopo una esecuzione capitale all’appello intonarono un travolgente Hymn an das Leben in faccia al carnefice annientandolo umanamente e ideologicamente, Ignacy Paderewski che dopo l’occupazione tedesca della Polonia nel 1939 divenne presidente del Parlamento polacco in esilio a Londra e diede numerosi concerti pianistici nel mondo raccogliendo fondi per la causa polacca: erano tutti musicisti.
La produzione musicale concentrazionaria capovolge ogni statement della poetica ed estetica musicale durante la Seconda Guerra Mondiale; l’Europa nacque tra il 1944 e il 1945 presso il confino di Ventotene nelle menti di Franco Antonicelli e Manlio Rossi–Doria che scrivevano canti e parodie musicali antifasciste, il 29 maggio 1938 a Vienna sulla banchina del treno per Dachau dove Herbert Zipper intonò l’Ode An die Freude dalla Sinfonia n.9 di L.v. Beethoven imitato da tutti gli altri deportati (oggi l’Ode è inno ufficiale dell’Unione Europea), nel 1943 a Sachsenhausen dove gli Inni si scrivevano in almeno 8 lingue (italiana e russa incluse) perché tutti i prigionieri potessero cantare.
La musica prodotta in cattività, nonostante porti con sé un carico di enorme sofferenza, è capace di cementare sentimenti di appartenenza a ideali incrollabili; essa è il prodotto dell’ingegno e della creatività più cosmopolita, autentico Manifesto artistico di una prossima civiltà.
Questa musica scritta 70 anni fa ha un breve passato legato alla sua recente scoperta (l’ultima cinque giorni fa, tre canzoni inedite di Ilse Weber) ma in compenso ha un enorme, incommensurabile futuro.
Francesco Lotoro, musicista
(28 dicembre 2016)