Pagine Ebraiche, il dossier sul Golem
Dal mito ai dubbi della modernità

“Dal mito della creazione ai dubbi della modernità”. Questo il titolo che apre il grande dossier dedicato al Golem sul numero di gennaio di Pagine Ebraiche. Pubblichiamo l’introduzione di Ada Treves, curatrice dell’approfondimento.

Talmente radicato nell’immaginario collettivo da essere praticamente onnipresente e comparire in tutti i media, dal cinema alla scultura, dal fumetto ai videogiochi, il Golem secondo la più accreditata delle leggende è un gigantesco pupazzo d’argilla dalle forme appena abbozzate. Creato dal Maharal di Praga, Yehuda Löw ben Betsalel, uno dei maggiori e più influenti pensatori ebrei del suo tempo, la materia che lo compone è il fango delle rive della Moldava. Si tratta di una vicenda quasi archetipica: il Maharal decide di creare il Golem con uno scopo preciso, gli ebrei di Praga sono accusati di aver commesso un omicidio rituale e sono in pericolo. Grazie al Golem il complotto viene sventato, ma il rabbino perde il controllo della sua cretura, che si rivolta contro il suo creatore e finisce per versare quello stesso sangue ebraico che avrebbe dovuto proteggere. Viene fortunosamente disattivato e i suoi resti si troverebbero ancora in una soffitta irraggiungibile della sinagoga Vecchio-Nuova di Praga.
È una creatura che ha un lato oscuro e terrificante ed è ancora circondato da un’aura di mistero e soggezione a distanza di più di cento anni dalla sua prima apparizione cinematografica, nel film di Paul Wegener, ma il tema dell’automa in grado di prendere vita corrisponde in maniera profonda all’antico desiderio umano di antropomorfizzare le sue creazioni, a imitazione del soffio divino che infonde la vita in una forma di fango e argilla, come quella del Golem. Si aggiunge l’idea perturbante della creazione che tradisce la propria natura, e quel potere magico della parola e delle lettere che così fortemente è legato alla tradizione e alla cultura della minoranza ebraica. “Emet”, verità, è la parola che porta in vita il Golem, e per fermarlo definitivamente serve cancellare la prima lettera, in modo che sul cartiglio si legga “met”, morto. La sua storia è in realtà molto più remota della vicenda del Maharal di Praga: il termine compare già nel Salmo 139:16 dove indica, questa la traduzione più diffusa in italiano, un “informe embrione”. Secondo la tradizione talmudica sono queste le parole pronunciate da Adamo a Dio, e stanno a indicare un corpo umano che è ancora privo di anima, e sono diversi i maestri che si dedicano a costruire un Golem. Le istruzioni per procedere alla sua creazione, che si moltiplicano a partire dal XII secolo, precedono gli esperimenti di Paracelso per dare vita al suo Homunculus e Moshe Idel documenta che la creazione del primo Golem “moderno”, opera del rabbino Elijhau di Chelm, è ancora precedente a quella del Maharal. Ma il fascino misterioso di Praga, come ben intuito da tutti gli autori ottocenteschi che hanno raccontato storie ispirate alla vicenda del Golem, era evidentemente più adatto all’ambientazione di un mito. A partire dal XIX secolo, infatti, la società europea cominciò ad adottarne la figura in numerose opere di fantasia, facendolo diventare protagonista del romanzo di Gustav Meyrink, opera classica di riferimento sul tema, e di una serie di classici del cinema espressionista tedesco. Una storia difficile, una vicenda inquietante alla pari di numerose opere letterarie, come L’uomo della sabbia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann o il Frankenstein di Mary Shelley, ma così affascinante da avere una grande influenza su tutta la produzione culturale contemporanea e non solo sulla cultura cosiddetta “alta”. Non c’è solo “Il servo” di Primo Levi (nella raccolta di racconti Vizio di forma) o la poesia di Borges in L’altro, lo stesso. Oltre alla recente traduzione del Golem, di H. Leivick, capolavoro della letteratura yiddish, e all’iconico film di Paul Wegener, vanno ricordate almeno le opere omonime di Isaac Bashevis Singer, Elie Wiesel e Il cabalista di Praga di Marek Halter, ma anche il fantasy Piedi d’argilla, di Terry Pratchett. E non si può ignorare che su suggerimento di Gershom Sholem il primo computer israeliano venne chiamato Golem Aleph: oggi è un personaggio simbolo della capacità creativa dell’essere umano e dei risultati della tecnologia nell’era moderna. E riscoprendolo nei libri per bambini, nei fumetti o come personaggio di tanti giochi e videogiochi, o visitando la straordinaria mostra curata da Emily Bilski e Martina Lüdicke aperta in queste settimane al Museo Ebraico di Berlino, non va dimenticato che il Golem è una creatura in cerca della propria identità, che lotta per un’autonomia che non è neppure sicuro di volere. E impone a tutti noi di interrogarci sulla liceità dell’uso della violenza in situazioni estreme.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

dal dossier Golem, Pagine Ebraiche, gennaio 2017

(30 dicembre 2016)