Pagine Ebraiche – Dossier Golem Quando un’ombra prende corpo
Il Golem è una parola, quel vocabolo ebraico che infonde la forza, vita e l’energia. E il Golem è un mito, un’idea, un’ombra. Così il gigante ci è stato raccontato e così è entrato nell’immaginario ebraico di generazione in generazione. Eppure un gigante, una forza incontrollata, un mostro, magari un supereroe, rivendica un corpo, non può fare a meno della sua fisicità. Nulla da stupirsi, quindi, se il primo grande cinema ha pensato presto al Golem per dispiegare fra le sue incredibili potenzialità quella più affascinante: dare un corpo alle leggende. Affascinato dalle culture esotiche e dal buddismo, dal mondo del mito e in particolare dal mito ebraico, l’attore e regista tedesco Paul Wegener, uno dei maggiori protagonisti del cinema dell’espressionismo, si lasciò trascinare dal romanzo di Gustav Meyrink che riporta abilmente la figura dell’automa nel quadro dei misteri e delle fascinazioni praghesi, e comprese per primo come dare corpo all’immagine del Golem fosse per il cinema di allora un’impresa da non mancare. Dalla sua prima prova come regista, Lo studente di Praga, realizzato nel 1913, Wegener si era affermato come un realizzatore sulfureo e capace di tenere il pubblico del muto con il fiato sospeso. Maestro delle semplici ma potenti tecnologie che allora si andavano sperimentando, soprattutto della sovrimpressione e dello sdoppiamento dell’immagine che consentiva di giocare sul concetto base della magia, del doppio, dell’apparizione, della scomparsa e della ricomparsa, Wegener sapeva circondarsi dei migliori tecnici disponibili, ma soprattutto di scenografi e costumisti che rappresentavano il meglio delle idee creative dell’espressionismo destinate condizionare profondamente l’arte del Ventesimo secolo. Il Golem, il ghetto di Praga, il gioco di forze fra un mondo ebraico fra vita nell’ombra e poteri della Cabala, immaginato, romanzato, ma sempre con un fondo richiamo concreto alla realtà. Tutto quanto emergeva con energia dalla penna vivida di Meyrink sembrava fatto appositamente per conquistare un posto d’onore nella cultura visiva di massa e nei primi esperimenti di cinema professionale. Meyrink si mise al lavoro del suo primo Golem appena pochi mesi dopo aver terminato le riprese dello Studente di Praga. Il suo Golem cinematografico del 1915 è un capolavoro di cui ci sono pervenuti appena pochi frammenti, mentre l’impianto principale di un lavoro per allora molto ambizioso è purtroppo andato perduto. Dopo alcuni esperimenti minori, come la pellicola Il Golem e la ballerina (1917) e qualche esercizio di buddismo visivo che lo appassionava in parallelo, il regista, ormai stabilmente insediato nell’industria dello spettacolo berlinese, torna alla carica con un passo decisivo e realizza nel 1920 il Golem – Come venne al mondo mettendo a segno una trafila di record e lasciandoci un film muto ancora oggi appassionante. Nasceva l’idea del sequel, si affinavano tutti i sorprendenti trucchi tecnici che la settima arte poteva allora mettere a disposizione, prendeva corpo un successo cinematografico internazionale (a New York il film restò in cartellone per un anno intero), ma soprattutto si donava un’immagine impressionante, nitida, indimenticabile alla figura del Golem. La stessa immagine che oggi, come in un caleidoscopio, ritorna continuamente nel lavoro di innumerevoli altri artisti di tutte le estrazioni. A questa immagine Wegener contribuì in maniera determinante non solo per la sua abilità di regista, ma anche per il suo intento preciso di dare il suo corpo e la sua capacità di recitare al corpo del Golem. Aiutato da costumisti abilissimi e dalla sua bravura, il regista era riuscito a rimettere in piedi quel gigante d’argilla destinato all’oblio nella soffitta della sinagoga di Praga. Che l’esperimento avesse funzionato a dovere Wegener avrebbe potuto constatarlo poco più tardi, quando, durante una passeggiata lungo le strade del quartiere ebraico di Amsterdam, si accorse che i passanti si ritraevano spaventati e si davano alla fuga riconoscendo in Wegener i tratti che li avevano impressionati sullo schermo e credendo che il Golem fosse tornato fra noi. Molti anni dopo, senza mai lasciare Berlino, Wegener continuava a credere che una forza immensa avrebbe potuto sorgere d’improvviso per riportare la speranza e la giustizia. Fu quello che gli diede la determinazione di resistere all’orrore della dittatura e di impegnarsi in silenzio per combattere l’odio, per riportare un barlume d’onore in quella Germania che aveva amato e che privata delle sue radici ebraiche non sarebbe stata mai più la stessa.
gv
dal dossier Golem, Pagine Ebraiche, gennaio 2017
(3 gennaio 2017)