Periscopio – Doppia morale

lucreziSi è parlato, naturalmente – in ragione dell’identità del mezzo adoperato per dare la morte – delle evidenti analogie tra lo spaventoso attentato di Gerusalemme e quelli, altrettanto spaventosi, di Nizza e di Berlino, ed è prevedibile che l’idea di potere adoperare mezzi di trasporto pesanti per uccidere contemporaneamente più persone possibile non passerà tanto facilmente di moda. Con un coltello è difficile eliminare più di una o due persone per volta, e, per usare pistole, cinture esplosive o mitra, bisogna procurarsi gli strumenti, che non si vendono al supermarket, e richiedono, oltre ai soldi, i giusti contatti per procurarseli. Ma un camion è alla portata di tutti, è facile, per chi non lo possieda, farselo prestare, noleggiarlo, rubarlo. E, se proprio non si trova un tir, anche con una semplice automobile, se si riesce a trovare il giusto capannello di persone, un buon risultato è comunque garantito. C’è dunque da prevedere che tale novità nella metodologia terroristica segnerà a lungo il nostro futuro: per quanto le autorità si possano sforzare di usare blocchi di cemento o cose del genere, non sarà certo possibile mettere al bando tutti i mezzi di trasporto su ruote, né vietare gli assembramenti di più di tre persone, o innalzare muri tra le carreggiate e i marciapiedi. La gente – soprattutto quando si abbiano bambini con sé – si sta abituando a lanciare occhiate di sospetto e di paura su ogni grosso veicolo di locomozione che si veda avvicinare – “perché quell’autobus viene proprio in questa direzione? Non va troppo veloce? Si riesce a vedere la faccia dell’autista? Bisogna subito allontanarsi, o cercare riparo?” -, ed è comprensibile che sia così.
Naturalmente, come sempre, si è dovuto registrare, sui nostri mezzi di informazione, il consueto, cinico e ripugnante utilizzo del doppio metro di giudizio e della doppia morale. Mentre, per Nizza e Berlino, in primo piano c’è stato il cordoglio per le vittime innocenti e la solidarietà per le società colpite, e la condanna per gli assassini è stata dovunque netta e inequivocabile, per Gerusalemme a essere in primo piano è stata la sola rappresentazione falsata e distorta del conflitto israelo-palestinese, di cui questo ennesimo fatto di sangue non sarebbe che una delle tante manifestazioni. Solidarietà per le vittime, poi – quattro meravigliosi ragazzi ventenni -, molto poca. Dopo tutto, si è pensato, erano soldati in uniforme, in uno scenario di guerra.
Ma è vero che tra i tre attentati “camionistici”, oltre alle somiglianze, ci sono anche delle grandi diversità. Salta agli occhi, innanzitutto, una differenza enorme, che fa apparire i fatti di Francia e Germania come appartenenti a una storia e uno scenario completamente diversi, sideralmente distanti da quelli d’Israele, ed è la reazione della popolazione del luogo, o delle vicinanze. Gli abitanti di Nizza e Berlino, infatti, hanno perlomeno avuto il magro conforto di sentirsi accomunati nella commossa solidarietà della stragrande maggioranza della cittadinanza, unita, almeno a parole, nel dolore, nell’esecrazione, nella voglia di reagire insieme contro l’orrore. Magra consolazione, certo. Ma che dire, invece, dei residenti di Gerusalemme, che hanno visto, a poche decine di metri da loro, scene di giubilo, con dolci offerti per le strade per celebrare il lieto evento, e tutti a ridere, a brindare, a festeggiare? Non su un altro pianeta, su un altro continente, ma proprio là, tra la agente che si incontra ogni mattina al supermercato, con cui si prende insieme l’autobus, si cammina insieme per strada. Non tutti, d’accordo, ma certo neanche uno o due delinquenti isolati: tanti, tantissimi, nel silenzio assordante di tutti gli altri. È questa la gente, il popolo con cui si dovrebbe fare la pace. È questa la gente, il popolo, tanto amati dal mondo, dai pacifisti, dalle associazioni di volontariato, dai religiosi, dalle Nazioni Uniti, dai giornali, dagli intellettuali, dai politici di sinistra, di centro, di destra, da tutti. Sono loro. Quando un soldato israeliano sbaglia – come si è visto proprio in questi giorni -, viene subito severamente punito dall’inflessibile giustizia d’Israele, quando un palestinese compie un’orribile strage, spande gioia e allegria e viene acclamato come un eroe. Due popoli che vivono insieme, separati da milioni di anni luce. Quanto all’amore del mondo per la Palestina, i palestinesi – viene da chiedersi – sono amati nonostante questi gesti e queste reazioni, o proprio in ragione di questi? Si perdonano loro queste cose, o sono proprio queste cose che piacciono, perché permettono, comodamente, di odiare gli ebrei per interposta persona, per procura?
Ci hanno insegnato che non bisogna mai generalizzare, che le responsabilità sono sempre e solo individuali, che solo gli individui possono essere colpevoli, non i popoli. Cercheremo, con enorme sforzo, di continuare a crederlo.

Francesco Lucrezi, storico

(11 gennaio 2017)