Un hazan nel circolo ufficiali
Il 24 gennaio 1944 il tenore foggiano Nicola Ugo Stame (sergente maggiore dell’aeronautica italiana passato alla Resistenza dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) fu arrestato a Roma, condotto presso il carcere di via Tasso, torturato e trasferito a Regina Coeli; quando i suoi parenti riuscirono a parlargli in carcere e lo rincuorarono che sarebbe tornato a cantare, Stame (nell’immagine in basso) rispose che non avrebbe potuto più farlo perché i tedeschi gli avevano fracassato la scatola toracica (Stame fu prelevato all’indomani dell’attentato di via Rasella e ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944).
A Sachsenhausen i medici tedeschi compirono esperimenti per il vaiolo sul giovane cantante e compositore Alexandr Kulisiewicz, non appena i medici si allontanavano un infermiere polacco gli iniettava l’antidoto; questi esperimenti, uniti a quotidiane torture e percosse, proseguirono sino a quando le corde vocali di Kulisiewicz non rimasero danneggiate.
L’ebreo cecoslovacco Štěpán Lucký era un eccellente pianista con una brillante carriera dinanzi ma nel 1941 i tedeschi lo arrestarono, lo condussero a Dachau e gli storpiarono la mano destra; nel 1942 il pianista e compositore ebreo olandese Samuel Schuijer fu condotto a Birkenau dove le SS, con inenarrabile crudeltà, gli amputarono le mani (morì l’11 dicembre 1942) mentre nella sezione femminile una Kapò fracassò i denti con una spranga alla cantante ebrea livornese Frida Misul.
La lista continua con strumentisti dalle dita maciullate mentre trasportavano enormi pietre a Gusen, dita di virtuosi della tastiera che si aprirono per i geloni sino a perderne l’uso per congelamento; la dissenteria ridusse a scheletri viventi grandi compositori come il ceco Rudolf Karel.
Militari tedeschi e Kapò facevano di tutto per compromettere la carriera del deportato musicista, un perverso meccanismo mentale spingeva le autorità del Campo a far suonare i musicisti, procurargli carta e strumenti (un intero parco a Birkenau e sei orchestre tra Stammlager, Birkenau e Buna, orchestra di 84 professori a Buchenwald, orchestra e compagnia teatrale di flamenco a Mauthausen, due orchestre a Westerbork, ecc.) e allo stesso tempo compromettergli il talento fisiologico necessario alla carriera; comunque andasse a finire, il musicista non avrebbe più praticato perché ucciso o irreparabilmente infortunato.
Di musica si poteva vivere.
Il tenore e hazan rumeno Sholom Katz, prima di essere fucilato e gettato nella fossa comune, intonò un El malè Rachamin così bello e struggente da muovere l’ufficiale tedesco a risparmiarlo e il giorno dopo portarlo al circolo ufficiali del proprio quartier generale per farlo esibire; al loro arrivo a Birkenau i musicisti Erich T. Vogel, Martin Roman e Coco Schumann dichiararono a Mengele di essere musicisti e quest’ultimo risparmiò loro la vita facendoli persino suonare qualcosa all’impronta.
Di musica si poteva morire.
Arrivato a Birkenau il baritono ebreo Luc Weissenstein (lavorava al Teatro dell’Opera di Praga) dichiarò a Mengele di essere cantante e Mengele gli indicò con l’indice il lato destro, quello della gasazione; il cantante e compositore Karel Berman che era dietro Weissenstein intuì e, alla medesima domanda, rispose che era operaio, Mengele gli indicò il lato opposto.
Il musicista conosce mille risorse, ha una impressionante capacità di rivitalizzarsi, rinascere; Alexandr Kulisiewicz recuperò l’uso della voce in avanzata età e riprese a cantare, Štěpán Lucký sopravvisse e si dedicò alla composizione con grandi risultati (quando lo incontrai a Praga nel 1990 e gli chiesi di autografarmi un suo spartito, sorridendomi fece una specie di scarabocchio sul frontespizio), a Birkenau Frida Misul, poche ore dopo la sprangata sui denti, era già dinanzi agli ufficiali tedeschi che cantava Mamma son tanto felice di Cesare Bixio.
La vita era in pericolo, non la forza dell’ingegno creativo e dell’intelligenza musicale.
Francesco Lotoro
(11 gennaio 2017)