Responsabilità e dignità umana

Tobia ZeviLa scorsa settimana mi sono trovato a cena con Franco Corleone, una lunga esperienza politica e culturale in tema di carceri, diritti, esecuzione della pena. Da circa un anno Corleone è Commissario del Governo per il superamento definitivo degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari (OPG). Questa coincidenza mi dà modo di tornare per la terza (e ultima) volta, su queste colonne, a parlare di un argomento che già affrontai il primo aprile 2014 e il 10 marzo 2015.
Finalmente, possiamo dire, buone notizie. La chiusura delle sei strutture rimaste è sostanzialmente portata a termine, e hanno aperto una trentina di Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), gestite dalle Regioni. Sono piccole dimore per gruppi ristretti di malati, giudicati incapaci di intendere e di volere nel momento in cui hanno commesso il reato. Storie umane drammatiche, aggravate dai manicomi in cui sono stati imprigionati nonostante la legge Basaglia (che abolì i manicomi).
Quasi mille persone che negli ultimi decenni hanno vissuto in moltissimi casi il dramma della contenzione (braccia e gambe legate al letto), spesso illegale; o che hanno sperimentato l’ingiustizia kafkiana del cosiddetto “ergastolo bianco”, cioè il passaggio dell’intera esistenza dentro a questi luoghi disgraziati in assenza di soluzioni alternative e terapie contro la reiterazione del reato. Non sarà più così. Niente contenzione, niente detenzione a vita, poiché la permanenza massima non potrà superare il massimo della pena prevista per quel reato, case di cura e non di detenzione.
Rimane un grande dilemma culturale, come sempre quando si discute di libertà e diritti: in un meccanismo che prevede gradualmente la dimissione dei pazienti (sono già molti i casi virtuosi nelle REMS), cosa fare delle persone irrimediabilmente pericolose? Il quesito è destinato in parte a rimanere aperto. Nella teoria del garantismo, che vuole minimizzare al massimo il ricorso alla detenzione in favore di misure alternative, c’è un corollario complementare: la non imputabilità, l’incapacità di intendere e di volere, andrebbe abolita. Tutti sono responsabili delle loro azioni, magari in percentuale differenziata, e dunque possono finire in galera anche con percorsi riabilitativi ad hoc. Nessuno è incapace per definizione. Se ci si pensa, una grande affermazione della responsabilità e dignità umana.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
twitter @tobiazevi

(14 febbraio 2017)