Analisi scorretta
Contraddizioni

anselmo calòGià nelle scorse settimane sono apparse le contraddizioni tra la pratica amministrativa di Trump alla Casa Bianca e la sua campagna elettorale. Cosi come i dolorosi stop a due dei principali obiettivi annunciati prima della sua elezione: fermare l’immigrazione dai paesi islamici (e dell’America latina) e riformare la legge sanitaria. Entrambe queste iniziative si sono velocemente arenate. La prima ad opera dei Tribunali che hanno ripetutamente bloccato gli ordini esecutivi sull’immigrazione dai 9 paesi musulmani; mentre la revisione dell’Obama-care è stata addirittura bloccata da alcuni parlamentari repubblicani al Congresso.
A veder bene c’erano altre due forti contraddizioni, una rappresentata dalla presenza nel gabinetto di due consiglieri speciali, le cui storie personali sono palesemente inconciliabili: Stephen Bannon, campione del suprematismo bianco, razzista e antisemita, e Jared Kushner genero del Presidente, proveniente dall’establishment ebraico americano.
L’altra contraddizione era tra la dottrina isolazionista rappresentata dal motto “America First” inteso come prima occupiamoci degli americani, e la scelta di affidare la politica di sicurezza della Nazione a tre generali: McMaster alla guida del consiglio nazionale per la sicurezza; Mattis segretario alla Difesa e Kelly responsabile della sicurezza interna. Senza contare la decisione di aumentare di 52 miliardi di dollari le spese per la difesa.
Anche questa seconda contraddizione ha trovato la sua soluzione con l’attacco alla Siria del 7 aprile scorso. Qualcuno – non a torto – ha detto che in tal modo Trump si è smarcato dalle accuse per la Russia-connection, questo sarà pure un effetto collaterale, ma non può essere la motivazione principale della decisione del presidente. I generali che Trump ha nominato nel Governo devono aver compiuto bene il loro lavoro e quindi convinto il Presidente che gli Stati Uniti non possono continuare ad essere una (l’unica?) grande potenza del pianeta se si ripiegano su se stessi, ma devono esercitare la loro leadership mondiale.
Le reazioni all’attacco in Siria hanno rimesso le cose in ordine: la Turchia si è riavvicinata agli USA; l’Arabia Saudita, che pure aveva tifato per la Clinton, ha esultato; gli europei hanno ritrovato la loro guida e hanno appoggiato convintamente l’azione nonostante la freddezza finora dimostrata verso la Casa Bianca.
Insomma anche con Trump, l’America fa l’America. E non poteva essere altrimenti.

Anselmo Calò

(10 aprile 2017)