In ascolto – Chad Gadya
“C’era una volta un capretto, un piccolo capretto che mio padre comprò per due zuzim…”; comincia così Chad Gadya, canto tradizionale di Pesach che nel tempo ha visto diverse rielaborazioni, traduzioni e interpretazioni. Restano la struttura per aumentazione e la melodia medioevale, cambiano la lingua, le armonie, gli arrangiamenti. Ciascuno porta nel cuore il proprio Chad Gadya e ciascuno ne ricerca significati.
Oggi vorrei riportare la lettura che ne dà Elie Wiesel nella sua Haggadah ripubblicata nel 2006 e accompagnata dai raffinati disegni di Mark Podwal:
“Questa canzone bella e innocente racconta la storia di un padre che compra un capretto per suo figlio; ma qualcosa va storto. Le creature di Dio si feriscono e si divorano a vicenda… Che modo bizzarro di concludere un pasto gioioso. L’obiettivo è forse illustrare le modalità della giustizia divina? O forse indurre compassione per il capretto? La canzone evoca il destino del popolo ebraico, questo è chiaro, ma qual è il simbolo del popolo ebraico? il capretto? Certamente no, perché scompare. Il popolo ebraico è invece simboleggiato dal bambino che riceve il capretto. Il bambino, anche se triste per per la scomparsa del capretto, resta fino alla fine. Ma quand’è la fine? Quando la morte è sconfitta. La fine è la morte della morte.
E dov’è l’amore in tutto questo? E dov’è la gioia? E la redenzione? Sono là, nella relazione tra il bambino e il capretto, tra il capretto e la canzone e tra il padre e tutti loro, tutti noi.
Il reale significato della canzone potrebbe essere questo: nella storia ebraica tutte le creature, tutti gli esseri, tutti gli eventi sono connessi. Il capretto e il gatto, il fuoco e l’acqua, il macellaio e l’angelo vendicatore sono tutti parte della storia
A volte le storie sono tristi, ma è importante raccontarle una volta dopo l’altra, per farle vivere ininterrottamente, quest’anno e il prossimo, quando ci incontreremo ancora intorno a questo tavolo del Seder”.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto:
(13 aprile 2017)