Oltremare – Yom HaZikaron
La memoria è una cosa strana, soprattutto quando è coatta, come in questa lunga settimana da Yom HaShoah ad oggi, Yom HaZikaron. Tutto un paese, o almeno la sua massima parte, dagli asili alle case di riposo, tutti sono concentrati nell’esercizio della memoria, il muscolo già di per sè più agile e stimolato da questa parte del mare. Chissà se ci hanno pensato, i legislatori, quando hanno messo ai voti le date in cui fare tutte le cerimonie di ricordo, le accensioni di candele, le serate interminabili tutte piene di commozione, le visite ai cimiteri. Tutto nel mese più bello, il mese fra aprile e inizio maggio. Tutto subito dopo Pesach, le famiglie riunite intorno al tavolo del seder, le generazioni che si ritrovano faccia a faccia per festeggiare la libertà, il popolo, la vita. Appena in tempo per digerire le azzime, e il calendario ordina la discesa agli inferi della memoria. Conosco israeliani che lasciano il paese ogni anno per questa settimana, e negli anni ho imparato a non giudicarli. Preferiscono continuare a celebrare la vita, e ci lasciano qui ad accendere candele e a riunirci in piazze e case private per sentire le storie dei sopravvissuti allo sterminio prima, e poi a ricordare uno ad uno tutti i nostri caduti nelle molte guerre che abbiamo combattutto e continuiamo a combattere. Alla radio ogni anno ci dicono quanti caduti si sono aggiunti alla enormità dei cimiteri militari sparsi nel paese nell’ultimo anno. Anche in stato di semi-pace, aggiunte ce ne sono sempre. E io che vado ogni anno ad ascoltare la sirena in una zona del cimitero militare di Kiryiat Shaul dedicata ai caduti nella lontana guerra del Kippur li vedo, laggiù, dall’altro lato della distesa di lapidi e di siepi ben potate, i famigliari dei nuovi arrivati. Che il loro ricordo sia di benedizione, e che siano davvero gli ultimi ad arrivare qui.
Daniela Fubini, Tel Aviv
(1 maggio 2017)