Ticketless – Un Leone dal volto umano
Rileggo, dopo tanti anni, Viatico ai nuovi fascisti. Un brevissimo articolo di Leone Ginzburg apparso sui “Quaderni di Giustizia e Libertà”, marzo 1933. Mi aveva consigliato di leggerlo Piero Treves, che quest’articolo non amava, pur manifestando per Leone un’autentica venerazione. L’antifascista Treves ricordava la sorpresa che provò quando lo lesse. Con grande senso di pietas Ginzburg si rivolgeva ai giovani, che per ingenuità o ambizione giuravano fedeltà al Duce. La carità non esclude l’intransigenza e nemmeno il giudizio sulla morale collettiva, ma Ginzburg manifestava in primo luogo tolleranza: “Noi vogliamo essere vicini a questi giovani, noi, che abbiamo scelto vie più difficili, e cerchiamo di lavorare per tutti, abbiamo il diritto di manifestare l’immensa pietà di loro, che ci ha presi, e il dovere di soccorrerli, per quanto possiamo. Non permetteremo che si avviliscano di più, che da un primo compromesso accettato a malincuore siano tratti a desiderarne e a promuoverne altri, per oscurare il ricordo di quello. Ci occuperemo di loro con la premura che si ha per i prigionieri o per i deportati”.
Sorvolo sul significato profetico dell’ultima parola, “deportati”, destino che toccherà in sorte a più d’uno dei “nuovi fascisti” destinatari di quel “viatico”. Nel caso di Arnaldo Momigliano saranno i genitori ad essere deportati ad Auschwitz. Mi sono sempre chiesto e mi è capitato di tornare a farlo presentando la nuova edizione delle “Pagine ebraiche” se Momigliano fosse a conoscenza di queste righe. Probabile, ma quale effetto gli avranno fatto alla vigilia di salire in cattedra a Roma? Certo, pensava a lui il suo antico rivale, Piero Treves. Quelle righe mi tornano in mente – non lo nascondo, con speciale irritazione – ogni volta che scorgo giovani studiosi di oggi scagliarsi come anime belle e con entusiasmo degno di miglior causa contro il fascismo giovanile di questo o quell’altro intellettuale (ebreo o non ebreo) vissuto nell’Italia degli anni Trenta. Chissà che cosa avrebbero fatto loro, se si fossero trovati nella condizione di dover conciliare la coscienza e la ambizione. Ogni volta che inceppo in questo moralismo nutrito di senno del poi mi tornano a mente le parole di Leone. Il Leone dal volto umano.
Alberto Cavaglion
(17 maggio 2017)