In ascolto – Margaritkalekh
È esploso il caldo, l’estate sta arrivando e i prati di montagna sono punteggiati di margherite, come nei boschi della celebre canzone Margaritkalekh, in cui i fiorellini sono “piccoli soli con raggi bianchi, tra la la la…”; come in un sogno, si muove in quel bagliore la piccola Chava, una ragazzina dalla lunga chioma biondo oro che sussurra “una semplice melodia, tra la la la…”. Quante volte abbiamo ascoltato quella bella canzone di Zalman Shneur, poeta e autore di novelle in ebraico e in yiddish.
Nasce nel 1886 in Bielorussia a Shklov, centro pulsante del movimento hassidico e punto di riferimento per gli studi; il piccolo Zalman frequenta il heder e impara l’ebraico moderno e il russo. Ha solo 13 anni quando lascia la famiglia e si trasferisce a Odessa, dove incontra Hayyim Nachman Bialik, il grande poeta che diventa la sua figura paterna di riferimento. Nel 1902 il giovane inizia a lavorare nella redazione del settimanale ebraico per ragazzi “Olam katan” a Varsavia e compaiono le sue prime poesie per i più piccoli. Inizia ufficialmente la sua carriera di scrittore e poeta e ben presto viene accolto nel gruppo Pleiade, che ha come punto di riferimento Bialik. Shneour decide poi di trasferirsi a “ovest”, nelle grandi università europee, per studiare letteratura, filosofia e scienze naturali. La poesia Margaritkalekh, in yiddish, risale agli anni della Prima guerra mondiale, quando lui si trova a Berlino a studiare medicina. Quei versi acquistano grande favore del pubblico e in breve vengono messi in musica, diventando così una delle canzoni popolari più amate e conosciute.
Zalman Shneur continua a comporre liriche in ebraico ma predilige lo yiddish e nel 1927, grazie all’incontro con Abe Cahan, caporedattore del Forverts (oggi The Forward), giornale della comunità yiddish-speaking in America, inizia a cimentarsi con un nuovo genere: vignette e brevi racconti divertenti sulla vita di una famiglia ebraica medio borghese di Shklov della fine dell’800. Il poeta diventa biografo e la sua straordinaria capacità di far rivivere sula carta quella vita lontana e in parte perduta, crea uno spazio identitario per gli ebrei americani, una presa salda sulle proprie radici.
Margaritkelekh è una ballata che parla di natura e amore, ha l’andamento di una filastrocca e nella versione che ascoltiamo oggi ricorda un po’ le grandi chansons di George Brassens.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto:
(25 maggio 2017)